Quando nel 2004 la sonda Voyager 1 smise di rispondere ai comandi dei suoi propulsori principali per il controllo del rollio, il team del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, ritenendo che la causa fosse un guasto ai riscaldatori interni, decise di considerarli definitivamente persi e di affidarsi ai soli propulsori di riserva.
Nei mesi scorsi il team ha deciso di tentare l’impossibile e riparare da remoto un sistema inattivo da ventun anni, che si trova ormai ben oltre i confini dell’eliosfera, dove sta viaggiando alla velocità di 56 mila km all’ora nello spazio interstellare, in una missione iniziata nel lontano 1977.
A questo si aggiunge che i tubi del carburante nei propulsori di riserva, gli unici rimasti operativi, stavano accumulando residui che rischiavano di renderli inutilizzabili. Inoltre, l’unica antenna in grado di inviare i comandi alle sonde Voyager, la Deep Space Station 43 (Dss-43) di Canberra, in Australia, si prepara a essere spenta fino a febbraio 2026 per lavori di aggiornamento. Questa urgenza ha spinto il team ad agire prima della sospensione delle comunicazioni.
L’operazione comportava dei rischi, perché la riattivazione dei propulsori avrebbe potuto disallineare l’antenna della sonda, interrompendo il contatto con la Terra, distante più di venti miliardi di chilometri, che corrispondono a 23 ore-luce. Dopo due giorni di attesa del segnale di ritorno, è arrivata la conferma: i propulsori erano tornati in funzione. Questa operazione ha ridato alla sonda una riserva importante per il controllo dell’assetto e ha permesso di estendere la sua vita operativa, guadagnando tempo prezioso mentre l’antenna Dss-43 resterà fuori servizio.
Dopo quasi 50 anni dal lancio le due sonde gemelle Voyager continuano a esplorare l’ignoto e a inviare dati scientifici che sono frutto di un’ingegneria senza precedenti e della tenacia di chi ancora le segue da Terra.