Aurore universali

by Marco Sergio Erculiani

Una analisi dei dati ottenuti della sonda BepiColombo dell’ESA/JAXA attorno a Mercurio rivela che le aurore della magnetosfera meridionale del pianeta sono simili a quelle viste sulla Terra e su Marte.

Il nome Aurora Boreale deriva dal latino e può essere tradotto grosso modo come “l’alba del nord”. Nei tempi antichi Aurora era la dea romana dell’alba e Boreas era l’antica parola greca che indicava il vento del nord. L’aurora rievoca tempi antichi, pregni di misticismo e di magia. Le persone attraverso periodi di tempo diversi hanno cercato di darne una spiegazione, vedendole come echi dei defunti, lumi dai regni degli dèi e spiriti danzanti. La prima documentazione dell’aurora boreale risale all’età della pietra. Infatti, alcune incisioni mostrano l’aurora boreale impressa in una grotta nell’odierna Francia. Da allora in poi le ipotesi su cosa potesse esserne l’origine si moltiplicarono finché alla fine del XIX secolo Kristian Birkelund, uno scienziato norvegese, il primo a catturare l’aurora boreale sulle fotografie, trovò finalmente la spiegazione corretta per questo fenomeno.

La spiegazione semplice è che l’aurora è generata dalla collisione degli elettroni provenienti dal sole con i gas nell’atmosfera della terra e, grazie a questa collisione, viene rilasciata una luminescenza. Se vogliamo approfondire, la causa è da ricercarsi nell’’attività solare e nel modo in cui interagisce con il campo magnetico che circondala Terra. Gli elettroni e i protoni che provengono dal Sole infatti, colpendo il campo magnetico della terra, vengono guidate dal campo magnetico terrestre lungo il suo guscio protettivo (lo scudo magnetico), fino a fargli raggiungere due regioni a forma di anello che si chiamano ovali aurorali. Una di esse si trova vicino al Polo Nord e l’altra vicino al Polo Sud. Va da sé che, maggiore è l’attività solare, maggiore sarà l’area ce queste regioni copriranno.

La Magnetopausa, la regione che normalmente impedisce alle particelle solari di entrare nell’atmosfera terrestre, a causa dell’impatto con le particelle, permette ad un certo numero di esse di entrare nell’atmosfera della Terra e, finalmente, interagendo con i gas, (ossigeno e azoto), dare origine allo spettacolare fenomeno che lascia tutti a bocca aperta. Le forme delle aurore ed i loro colori possono variare a seconda del tipo di gas coinvolto nel processo e del livello di energia che le particelle solari posseggono. Infatti, l’aurora di colore verde, giallo e rosso è associata all’ossigeno mentre i colori blu e violaceo sono causati dall’interazione con l’azoto.

In particolare, il fatto che l’aurora sia verde o rossa, sebbene sia dovuta sempre all’ossigeno, è funzione dell’altezza a cui esso viene eccitato. Più alta è la quota, maggiore è il livello di energia e più rosso è il colore. L’aurora boreale infatti, essendo generata a quote basse, e quindi a livelli energetici più bassi, appare verde. Pertanto, è necessario un minore grado di attività solare per creare un’aurora verde che una rossa. Le aurore blu o viola sono invece più rare, poiché  deve essere direttamente esposta alla luce del sole per apparire in questi colori e, affinché ciò accada, il sole deve essere posizionato leggermente sotto gli orizzonti in quello che viene definito “crepuscolo profondo”.

Le aurore su altri pianeti

Generalmente, le aurore terrestri sono generate dalle interazioni tra il vento solare e lo strato superiore elettricamente carico dell’atmosfera, la ionosfera.

Dal momento che Mercurio ha solo un’atmosfera molto sottile, ovvero la sua esosfera, il vento solare interagisce direttamente con la superficie del pianeta.

Gli elettroni vengono accelerati nella sua magnetosfera e precipitano sulla superficie del pianeta. La magnetosfera di Mercurio è molto più piccola di quella terrestre e ha una struttura e una dinamica diverse, ma quello che lascia a bocca aperta è che il meccanismo che genera le aurore è lo stesso della Terra e, per estensione, anche di tutto il sistema Solare.

Le misurazioni simultanee di elettroni a bassa energia (meno di 30 Kev) e degli ioni durante il primo flyby di Mercurio della missione BepiColombo nell’ottobre 2021 nel lato diurno dell’emisfero australe, hanno permesso di spiegare la struttura e i confini della magnetosfera, compressa dal vento solare, compresa la magnetopausa.

Nel caso specifico di Mercurio, gli elettroni energetici vengono accelerati nella regione vicino alla coda della magnetosfera e si spostano rapidamente verso il lato diurno per poi essere successivamente iniettati su linee di campo magnetico chiuse sul lato notturno planetario. Questo processo si chiama “aurora a raggi X” e, nonostante le differenze nella struttura e nella dinamica delle magnetosfere planetarie, l’iniezione degli elettroni e la successiva deriva dipendente dall’energia sono un meccanismo universale, osservato in tutto il nostro Sistema solare.

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