L’abitabilità delle nuvole di Venere

Nuove possibilità dalla stabilità delle basi di acido nucleico nell'acido solforico

Venere ripreso dalla sonda Akatsuki. Crediti: JAXA

Venere è da sempre stato considerato un pianeta misterioso ed emblematico, teatro di moltissime opere di fantascienza. Già nel 1915 il chimico e fisico Svante Arrhenius interpretò il denso strato di nubi che ricopriva il pianeta come vapor d’acqua. Questo lo portò a immaginare la superficie di Venere come un ambiente umido e paludoso e portò ad una fioritura di fumetti e storie popolate da curiose e gigantesche forme di vita, piante carnivore ed esseri sauromorfi.

Solo successivamente, nel 1967, dopo che le sonde Venera 4 e Mariner 5 raggiunsero Venere, cadde il velo che ammantava l’immaginario collettivo, mostrando il pianeta per quello che realmente era: un ambiente impossibile: un corpo assolutamente deserto, molto caldo e arido con nuvole di acido solforico, una atmosfera prevalentemente composta di biossido di carbonio e zolfo e una pressione al suolo di circa 90 atmosfere.

Nonostante queste condizioni proibitive, nel 1967 Carl Sagan e Harold Morowitz cominciarono a porre le basi per uno studio sull’abitabilità delle nubi di Venere. Successivamente, nel 1999, Charles Cockell ipotizzò che la zona compresa fra la parte bassa e quella intermedia dell’atmosfera del pianeta non fosse del tutto incompatibile con la vita terrestre e che gli strati a moderate altezze avessero temperature in grado di congelare ma non di uccidere la vita.

La presenza di composti solforosi, biossido di carbonio (CO2) e acqua in un’atmosfera dove la temperatura oscilla fra 0 e 60°C con pressioni comprese fra 0.4 e 2 atmosfere ha portato Schulze-Makuch e colleghi a rivalutare l’ipotesi che vede questo pianeta non del tutto ostile alla vita. Si pensa infatti che Venere possedesse acqua liquida già 2 miliardi di anni fa e che a partire da 750 milioni di anni fa il suo clima abbia cominciato a essere adatto per supportare e far evolvere organismi viventi.

Successivamente, quando le condizioni in superficie peggiorarono e la temperatura si innalzò, le rudimentali forme di vita presenti si sarebbero spostate all’interno delle nubi. Da qui esse si sarebbero adattate alle nuove condizioni, con differenti pressioni atmosferiche e un ambiente decisamente più ostile rispetto a quello precedente. Il meccanismo responsabile di tale migrazione e che a tutt’oggi opera, sarebbe stato generato dal movimento ascensionale dei flussi d’aria per mezzo di variazioni di temperatura, mentre le correnti laminari,  molto più stabili, avrebbero provveduto alla traslazione orizzontale.

Le correnti sono regolate da molti fattori come la topografia superficiale, i cicli diurni e le tempeste oltre che dalla gravità. I flussi stabili presenti all’interno delle nubi di Venere inoltre potrebbero garantire il mantenimento ed il riciclo dei nutrienti vitali per la sopravvivenza degli organismi ivi sospesi. Sulla terra la componente biologica disciolta in atmosfera è composta da batteri, spore di funghi e di piante, pollini, alghe, particelle e altri detriti organici. Le dimensioni medie di tali organismi oscillano fra alcuni nanometri e diversi decimi di millimetro e variano a seconda della regione di terra sopra cui essi si trovano. Le densità di particelle stimate per Venere sono confrontabili con quella massima rilevate sulla terra, mentre le dimensioni delle particelle indicano la possibilità che le nubi di Venere ospitino particelle singole o agglomerati microbici.

Le nubi di Venere sono un ambiente differente da quello terrestre. Rappresentano un ambiente anaerobico,  ricco di acido solforico e pervaso da composti ferrosi. Tuttavia, anche sulla Terra, in ambienti acidi e ricchi di zolfo, la vita ha scavato la sua nicchia evolutiva. Numerosi sono gli esempi di batteri estremofili che riescono a sopravvivere in ogni tipo di ambiente, dagli ambienti estremamente caldi a quelli molto freddi, con pressioni elevate o condizioni molto acide, estremamente basiche o in condizioni di alta salinità. Un organismo adattabile alle condizioni di Venere potrebbe essere il batterio Acidithiobacillus ferrooxidans, in grado di vivere in condizioni estremamente acide e di fissare l’anidride carbonica e l’azoto presente in atmosfera ricavando energia per il proprio sostentamento dall’ossidazione di idrogeno, ferro e composti ferrosi. Inoltre, questo γ-proteobatterio è in grado di vivere a temperature di 50°C e 60°C. Anche i batteri del genere Stygiolobus sono in grado di ossidare lo zolfo per ottenere acido solforico e di sopportare temperature fino a 80°C in ambienti acidi utilizzando ioni Fe3+ come accettori di elettroni. Infine, ulteriori esempi sono i batteri verdi dello zolfo ed i batteri zolfo-riducenti che sono in grado di formare composti come solfiti e idrogeno solforato dall’ossidazione di molecole organiche e dalla riduzione di acido solforico.

Secondo un altro recente studio, nonostante la temperatura superficiale di Venere di 700 K sia troppo calda per qualsiasi solvente plausibile e la maggior parte della chimica covalente organica, gli strati atmosferici pieni di nuvole di Venere a 48-60 km sopra la superficie contengono i requisiti principali per la vita. Essi si possono riassumere in: temperature adeguate per i legami covalenti, una fonte di energia (la luce solare) e un solvente liquido.

Sebbene alcuni studi ritengano che le goccioline di acido solforico concentrato siano incompatibili con la vita, dal momento che esso è un solvente aggressivo che si presume distrugga rapidamente la maggior parte delle sostanze biochimiche organiche, alcuni recenti lavori recenti, tuttavia, dimostrano che una ricca chimica organica può evolvere da semplici molecole precursori disseminate in acido solforico concentrato. Ad esempio, le basi degli acidi nucleici adenina, citosina, guanina, timina e uracile, così come la 2,6-diamminopurina e le basi dell’acido nucleico “core” purina e pirimidina, sono stabili nell’acido solforico alle temperature delle nubi di Venere. La stabilità delle basi dell’acido nucleico nell’acido solforico concentrato corrobora l’idea che la chimica per sostenere la vita possa esistere nell’ambiente delle particelle della nube di Venere.

Sebbene siamo ben lungi dall’affermare che Venere sia abitato, la conferma della presenza o meno di queste teorie arriverà quando si avrà la possibilità di utilizzare strumenti “sul campo”, in grado di acquisire dati migliori. Un esempio fra tutti è la Venus Atmospheric Maneuverable Platform, un velivolo prototipo sviluppato dalla Northrop Grumman Aerospace che, come un dirigibile, sarà in grado di volare attraverso l’atmosfera di Venere ed aiuterà a dipingere un quadro a tinte migliori sulla presenza di eventuali forme biologiche. A bordo di essa vi saranno uno strumento simile al radar, chiamato Lidar Raman, sensori metereologici e chimici ed alcuni spettrometri, oltre a speciali tipi di microscopi in grado di rilevare organismi viventi.

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