Un nuovo tipo di biosignature

Il bromuro di metile potrebbe essere un indicatore della presenza di vita su altri pianeti

Artist's impression of the spectrum of a planetary atmosphere, showing the elements it contains.

Secondo ricercatori della Nasa, il gas bromuro di metile (CH3Br) potrebbe essere un nuovo indicatore della presenza di vita su altri pianeti, a patto che venga rilevato nell’atmosfera di pianeti di dimensioni terrestri attorno a stelle nane rosse.

Le firme della vita non sono assolute, ma vanno calzate all’interno del contesto planetario in cui esse devono essere ricercate. Biofirme valide sulla Terra potrebbero non essere valide su pianeti differenti da essa dal momento che dipendono dalle condizioni geologiche e chimiche del pianeta, dalla composizione della sua atmosfera, dal tipo di stella attorno a cui orbita, dalla sua temperatura e da molti altri fattori, fra cui, ovviamente, dal tipo di vita che la produce. Spesso infatti, vengono analizzati bouquet di biofirme, non solo una, e come esse interagiscono fra loro.

Un recente studio ha utilizzato infatti simulazioni atmosferiche e spettrali per dimostrare che la molecola di bromuro di metile nell’atmosfera di un pianeta produrrebbe caratteristiche spettrali nel medio infrarosso che potrebbero essere rilevate con un potente telescopio. Inoltre, la presenza di altre specie metilate, come il cloruro di metile (CH3Cl), potrebbe aumentare la possibilità di individuazione della molecola.

La metilazione è una reazione chimica fondamentale per la vita e ha luogo nelle cellule quando una molecola nota come gruppo metilico (CH3) viene aggiunta ad altre molecole.

Quello che è molto importante per evitare falsi positivi è che i gas metilati non si formano attraverso processi in equilibrio come le reazioni chimiche che avvengono naturalmente nell’ambiente ma la loro presenza di solito significa che è sono state prodotte da processi biologici e che tali gas hanno meno probabilità di falsi allarmi.

La rilevazione di un gas metilato insieme a un gas appartenente alle biofirme primarie, come l’ossigeno, potrebbe davvero essere un segno convincente per la presenza di vita.

La Terra fornisce un banco di prova e un modello di partenza per l’analisi e le simulazioni delle atmosfere esoplanetarie. Per esempio, sulla Terra, le prime tracce della presenza di ossigeno atmosferico risalgono a circa 2.3 miliardi di anni fa, durante il breve periodo noto come “la grande ossidazione”. In seguito, durante il Proterozoico ed il primo Fanerozoico fra 750 e 460 milioni di anni fa ci fu un ulteriore incremento nei livelli di O2. Fu tuttavia soltanto nel periodo Archeano che i livelli di ossigeno divennero tali da poter essere rilevati anche da un osservatore esterno. L’alternarsi dei livelli di questo prezioso gas durante gli eoni rappresenta un analogo per caratterizzare, dal punto di vista bio-geo-chimico un pianeta roccioso.

Le tracce di vita si possono rilevare dallo studio delle atmosfere dei pianeti. Essi possono essere direttamente prodotti da essere viventi o essere il risultato della rielaborazione del pianeta dei prodotti biologici. Un esempio per tutti è l’ossigeno prodotto dalla fotosintesi confrontato con l’ozono prodotto dalle reazioni fotochimiche dell’ossigeno nella stratosfera. Gli organismi fotosintetici come le piante, le alghe ed i cianobatteri usano l’energia del sole per scindere l’acqua in modo da produrre biomassa utilizzando CO2 e producendo O2 come prodotto di scarto. Non è sempre vero però che i gas rilevati attraverso l’analisi spettroscopica siano derivanti da processi biologici. Molte volte infatti, essi possono essere dovuti a processi geologici o di altra natura, conducendo l’osservatore inesperto a cosiddetti “falsi positivi”.

Dallo studio delle molecole più rappresentative della presenza di organismi viventi è stata generata una mappa di elementi che includono ossigeno (O2), ozono (O3), ossido nitroso (N2O), metano (CH4), clorometano (CH3Cl), etano (C2H6), ammoniaca (NH3), dimetilsolfuro (DMS), dimetildisolfuro (DMDS) e il metantiolo (CH3SH). Per meglio figurare quest’ultima, essa è la molecola che conferisce lo sgradevole odore noto come “puzza di piedi”.

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