L’inventario delle fusioni che hanno formato la Via Lattea

Una mappa dettagliata di flussi stellari, ammassi globulari e galassie nane nell’alone

Rappresentazione artistica della Via Lattea con alcuni flussi stellari, ammassi globulari e galassie nane satelliti. (S. Payne-Wardenaar / K. Malhan, MPIA)

Un gruppo di astronomi, guidato da Khyati Malhan del Max Planck Institute for Astronomy, ha creato un atlante di fusioni passate di galassie nane con la Via Lattea. Il nuovo studio ha analizzato nel dettaglio 257 flussi stellari, ammassi globulari e galassie nane satelliti, applicando una valutazione statistica sistematica dei dati ottenuti dalla missione Gaia dell’Esa. Il risultato è stato l’identificazione di sei fusioni principali, tra cui quella prima sconosciuta che è stata denominata Pontus, e un altro evento ancora da confermare. Questi risultati rappresentano un passo importante verso la completa ricostruzione delle storie formative della nostra galassia.

La nostra Via Lattea non è infatti solo costituita dalla struttura spirale leggermente barrata del disco e il rigonfiamento centrale (bulge). Preso nel suo insieme, il nostro sistema è molto più complesso di quanto si possa pensare ed è il risultato di ripetuti processi di cattura e fusione, come previsto dal paradigma cosmologico standard, il Lambda-Cold Dark Matter. L’eredità di queste numerose storie di fusione è maggiormente riscontrabile in quella grande struttura, grossomodo sferica, detta alone interno (con diametro all’incirca quello del disco) e quella molto più vasta e rarefatta che costituisce l’alone esterno (sino a circa 500mila anni luce dal centro).

Struttura schematica della Via Lattea vista di profilo. Gli ammassi globulari (dischi rossi) si addensano verso il centro e sono, almeno in parte, retaggio di antichi episodi di cattura di galassie più piccole (CC0).

Scritto tra le stelle dell’alone galattico

Nell’attuale quadro che descrive la formazione e l’evoluzione della Via Lattea, quell’alone contiene le stelle più antiche, quindi è una sorta di archivio chimico-fisico che può essere studiato alla ricerca di gruppi di stelle che condividono le medesime caratteristiche. Un tempo quelle stelle formavano le galassie nane che sono state dapprima smembrate dalla gravità differenziale della galassia, trasformate in flussi e infine inglobate nell’alone, conservando tuttavia movimenti peculiari.

Il riconoscimento di tali stelle sarebbe un compito titanico, dovendo controllare miliardi di stelle, al fine di stabilirne le proprietà cinematiche, ma questo è esattamente il compito del satellite Gaia che rileva con grandissima precisione la posizione durante ripetute scansioni complete del cielo. Questi dati permettono di stabilire con molta cura i movimenti e l’analisi statistica riesce a identificare specifiche famiglie all’interno di quella che sembra una struttura amorfa.

Delle galassie nane catturate, talvolta rimane qualcosa. Di alcune troviamo l’antico nucleo sotto le false sembianze di ammasso globulare (ad esempio Omega Centauri e M53) oppure gli stessi ammassi globulari che, un tempo, erano con la galassia catturata e distrutta, al pari di eventuali satelliti.

L’alone galattico è infatti la regione in cui gli ammassi globulari si concentrano e sono testimoni delle prime fasi di formazione stellare nel giovane Universo.

Un atlante delle fusioni

Lo studio appena pubblicato, è un ambizioso tentativo di riunire in un quadro unico tutti i flussi stellari, gli ammassi globulari e le galassie satelliti in un “atlante di fusione”. Da tale mappa si può risalire agli eventuali progenitori dei flussi oppure trovare parentele tra più oggetti. Più in generale possono essere ricostruiti, andando a ritroso, gli eventi di cattura all’origine di tali strutture.

Grazie alla missione Gaia e, in particolare, al Data Release 3 (EDR3), l’archeologia galattica è diventa la branca dell’astrofisica che sta ottenendo i maggiori successi. In pochi anni, il numero di articoli scientifici è cresciuto considerevolmente e questo tema è all’ordine del giorno tra le nuove pubblicazioni, anche per la forte interdisciplinarità che coinvolge pure semplici appassionati in progetti di citizen science, come ad esempio MilkyWay@home.

I preziosi dati di Gaia

Lanciato nel 2013, Gaia fornisce dati astrometrici per più di un miliardo di stelle con precisione elevatissima e da essi sono stati identificati non meno di 50 debolissimi flussi stellari. Queste strutture presentano densità minime poiché le loro stelle si confondono con altre dell’alone. Il flusso Sagittarius, legato all’omonima galassia nana ellittica distrutta, copre per intero la volta celeste con andamento quasi ortogonale all’equatore galattico. Ciononostante, la sua luminosità è talmente bassa che la Luce Zodiacale, al confronto, è migliaia di volte più luminosa e visibile ad occhio nudo da cieli molto scuri, mentre il flusso del Sagittario nemmeno con le esposizioni fotografiche più lunghe.

I flussi stellari si rinvengono infatti registrando le proprietà chimiche e cinematiche delle stelle nel campo.

Registrando il movimento apparente di miliardi di stelle, integrati nel secondo rilascio di dati (DR2) con le misurazioni della velocità radiale per 7 milioni di stelle, può essere ricostruito il moto e la velocità di certi gruppi. Quando un certo numero di stelle presenta questi parametri molto simili, vuol dire che esse sono parte di un flusso stellare. Il gruppo di astronomi (tra cui Nicolas Martin, Rodrigo A. Ibata, Sanjib Sharma, Benoit Famaey e altri) ha utilizzato i dati di Gaia per caratterizzare non solo i flussi ma anche gli ammassi globulari e le galassie nane nell’alone galattico.

Sette eventi principali di fusione

In particolare, il gruppo si è concentrato sulle cosiddette “variabili d’azione”. Simili a quantità fisiche come l’energia o il momento angolare, le variabili d’azione hanno il vantaggio di consentire il riconoscimento delle parentele tra oggetti in apparenza non correlati. A sua volta, un’analisi dei valori delle variabili d’azione fornisce informazioni su quali oggetti facevano originariamente parte dello stesso progenitore, e quindi separatisi nel corso  dello stesso processo di fusione.

I ricercatori hanno calcolato i valori delle variabili d’azione per tutti i 170 ammassi globulari conosciuti, 41 flussi stellari e 46 galassie satelliti. Per 62 oggetti, l’analisi statistica li ha assegnati a sei episodi di fusione diversi, cinque delle quali erano già note: Sagittarius, Cetus, Gaia-Sausage/Enceladus, LMS-1/Wukong, Arjuna/Sequoia/I’itoi ma anche un evento nuovo che hanno chiamato Pontus nonché un candidato da confermare.

Uno dei primi eventi

La piccola galassia Pontus si muoveva in direzione opposta alla rotazione del disco della Via Lattea, a un’energia relativamente bassa, ed è forse uno degli eventi più antichi tra quelli identificati. L’analisi ha mostrato che tre flussi particolarmente poveri di metalli (gli astronomi chiamano metallo qualsiasi cosa più pesante dell’elio) precedentemente noti, facevano parte della fusione LMS-1/Wukong, scoperta nel 2020. Se la galassia progenitrice conteneva pochissimi di tali elementi più pesanti, è verosimile che si sia formata molto presto nella storia cosmica.

I restanti 195 oggetti potrebbero aver fatto parte di galassie molto più piccole, a turno assorbite dalla Via Lattea, e non legati a progenitori riconoscibili. Potrebbero anche suggerire i limiti del metodo utilizzato. In particolare, i ricercatori hanno trovato un candidato per una settima fusione sempre con il metodo della variabile d’azione. Le sei fusioni (più il candidato aggiuntivo) costituiscono la maggior parte delle stimate nove o dieci fusioni con galassie massicce che la Via Lattea ha subito nel corso della sua formazione.

Se tale analisi permette di rintracciare gli eventi, non è ancora abbastanza precisa da ricostruirli cronologicamente. La precisa collocazione temporale è infatti il prossimo obiettivo. Questo è ciò che i ricercatori ora sperano di ricostruire prossimamente, eseguendo simulazioni che descrivano meglio come si siano svolti gli eventi di fusione.  Se tutto andrà bene, il confronto tra le simulazioni e i dati disponibili potrebbe consentire di ricostruire come si sia formato l’alone stellare della nostra galassia negli ultimi miliardi di anni.

Gli ammassi globulari M13 e M92 nella costellazione d’Ercole. Secondo lo studio, essi sono associabili all’evento Pontus. Che i due ammassi globulari siano “stretti parenti”, trova riscontro nel diagramma indice di colore-magnitudine molto simile.
(foto Giuseppe Donatiello)

M13, M30, M56 e M92 sono resti di Pontus

Se questa trattazione può essere sembrata sinora alquanto astratta, diventa subito interessante quando andiamo a considerare alcuni oggetti che gli astrofili conoscono bene, come gli ammassi globulari M13, M30, M56 e M92. Questi oggetti non sarebbero autonomi, ma stando a questo nuovo studio, sono tutti riconducibili all’evento di fusione detto Pontus! Probabilmente erano ammassi della galassia progenitrice passati a far parte dell’alone interno della Via Lattea nel corso della cattura.

C’è lavoro per gli appassionati

A questi studi possono contribuire anche gli appassionati partecipando a progetti di citizen science e calcolo distribuito. Uno di questi è MilkyWay@home i cui volontari hanno contribuito per identificare il progenitore del flusso Orphan-Chenab, una lunga scia di stelle vicino alla Grande Nube di Magellano, il maggiore satellite della Via Lattea.

Grazie a tale strumento di analisi, gli specialisti sono stati in grado di rintracciare la galassia nana all’origine della corrente. Lo studio ha permesso di stabilire che il progenitore di Orphan-Chenab aveva una massa di circa 20 milioni di masse solari. Solo l’1% della massa era rappresentata dalla materia ordinaria mentre il resto dalla misteriosa materia oscura. Con una tale massa, la galassia distrutta era molto più piccola delle odierne galassie satelliti attorno alla Via Lattea.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 354 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.