Un gioviano in orbita attorno a una nana bianca

A 6500 anni luce uno sguardo sul futuro del Sistema Solare

Illustrazione artistica di quello che potrebbe essere l'aspetto di un sistema planetario superstite alla fine della stella ospite. (W. M. Keck Observatory/Adam Makarenko)

Si dibatte da sempre sul destino che attende la Terra quando il Sole si avvierà verso le fasi evolutive finali. Sappiamo che per stelle sino a circa 8 masse solari, la fine non sarà un’esplosione ma una più tranquilla trasformazione in una nana bianca. Vogliamo tranquillizzare gli ansiosi cronici dato che questo avverrà tra circa 5 miliardi di anni e la nostra specie sarà certamente già estinta da molto prima. A dirla tutta, le condizioni per la Terra diverranno invivibili tra meno di un miliardo di anni perché il Sole diventerà più caldo inaridendo il nostro pianeta. Possiamo stare rilassati perché è un periodo pari a due volte quello trascorso dal Cambriano a oggi: un vero abisso.

Nell’improbabile ipotesi che i discendenti umani sopravvivano a tali tumultuose trasformazioni, la zona di abitabilità si sposterà sempre più lontano. Tuttavia la migrazione non potrà proseguire oltre un certo limite, sia per le dimensioni finite del Sistema Solare sia perché la nostra stella passerà gli ultimi miliardi di anni come gigante rossa.

Un pianeta di tipo gioviano in orbita intorno a una gigante rossa, se a distanza sufficiente, può sopravvivere alla morte della stella.

È a questo punto che sorgono i dubbi. La Terra sarà divorata e distrutta dal Sole gigante rossa? Oppure sarà sospinta su un’orbita più ampia e sopravvivrà, benché inabitabile, come corpo celeste?

I modelli più accurati indicano la prima ipotesi come quella più realistica e la stessa sorte toccherà a tutti i pianeti rocciosi. In tali modelli i giganti gassosi riescono a cavarsela continuando a orbitare la nana bianca residua ma sinora non era stata trovata alcuna evidenza osservativa.

Una nana bianca è, dunque, ciò che resta di stelle di tipo solare dopo aver bruciato tutto l’idrogeno nel nucleo. Dopo essersi liberato degli strati esterni producendo una nebulosa planetaria, il nucleo non più sorretto dalla pressione interna, collasserà su se stesso, assestandosi su un oggetto denso e caldo di dimensioni comparabili alla Terra e metà della massa del Sole. Poiché le nane bianche sono piccole e non bruciano più combustibile nucleare, sono oggetti molto deboli e difficili da rilevare.

Le ipotesi sono una cosa e le prove sperimentali un’altra. Ora un gruppo di astronomi sembra aver trovato la prima dimostrazione che i resti di pianeti, planetesimi e detriti, possono sopravvivere alla morte delle loro stelle ospiti. Ciononostante, la casistica è ancora alquanto bassa per una generalizzazione ma è comunque una prova che almeno per i giganti gassosi a una certa distanza dalla loro stella, la sopravvivenza è più probabile.

La prova osservativa che almeno i giganti gassosi possano sopravvivere alla fase di gigante rossa e asintotica è stata trovata nell’evento di microlente MOA-2010-BLG-477Lb, rivelato con osservazioni nel vicino infrarosso ad alta risoluzione ottenute dell’Osservatorio W.M. Keck sul vulcano Maunakea alle Hawaii. I risultati sono stati presentati in uno studio pubblicato su Nature con primo autore Joshua Blackman, un ricercatore post-dottorato in astronomia presso l’Università della Tasmania in Australia.

Il fenomeno della microlente gravitazionale occorre quando un oggetto abbastanza massiccio (non necessariamente visibile nelle immagini) passa davanti a una stella più lontana e ne deforma e amplifica la sua luce. Il fenomeno è transitorio e, in base alle deformazioni rilevate, permette di stimare la massa dell’oggetto che funge da lente.

Le osservazioni hanno mostrato che a produrre il fenomeno sia stato un oggetto di 0,53 masse solari, accompagnato da un corpo di 1,4 masse gioviane con una separazione di circa 2,8 la distanza Terra-Sole. Il team ha potuto escludere che a produrre l’effetto possa essere stata una stella normale, un oggetto collassato e nemmeno uno di massa sub stellare. La massa stimata è perfettamente compatibile con quella di una tipica nana bianca. Questo sistema è distante circa 6.500 anni luce in direzione del centro della Via Lattea.

Raffigurazione artistica del sistema formato da un pianeta di tipo gioviano e una nana bianca.
(W. M. Keck Observatory/Adam Makarenko)

Questa prova conferma che i pianeti che orbitano a una distanza sufficientemente ampia possono continuare a esistere dopo la morte della loro stella“, dichiara Blackman. “Dato che questo sistema è un analogo del nostro Sistema Solare, suggerisce che Giove e Saturno potrebbero sopravvivere alla fase di gigante rossa del Sole, quando esaurisce il combustibile nucleare e si autodistrugge“.

Secondo gli studiosi, almeno la metà delle nane bianche dovrebbe conservare parte dei loro pianeti originari di massa gioviana.

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Informazioni su Giuseppe Donatiello 355 Articoli
Nato nel 1967, astrofilo da sempre. Interessato a tutti gli aspetti dell'astronomia, ha maturato una predilezione per il deep-sky, in particolare verso i temi riguardanti il Gruppo Locale e l'Universo Locale. Partecipa allo studio dei flussi stellari in galassie simili alla Via Lattea mediante tecniche di deep-imaging. Ha scoperto sei galassie nane vicine: Donatiello I (2016), Donatiello II, III e IV nel sistema di NGC 253 (2020), Pisces VII (2020) e Pegasus V (2021) nel sistema di M31. Astrofotografo e autore di centinaia di articoli, alcuni con revisione paritaria.