Costruire il futuro: Thales Alenia Space

Thales Alenia Space

Ha intuito, fra i primi, la rivoluzione del settore. Adesso, Massimo Comparini punta a realizzarla. Pezzo dopo pezzo.

di Emilio Cozzi e Matteo Marini

Colpo di fulmine

“Quando ho sentito il primo beep arrivare dalla sonda destinata a Titano ho capito che si poteva essere emotional anche da ingegneri”.
Parole di Massimo Comparini, nuovo amministratore delegato di Thales Alenia Space Italia, uno dei colossi mondiali della manifattura spaziale.

Un uomo, anzi ai tempi un bambino, che il 20 luglio del 1969 era davanti al televisore, conquistato dalle immagini in bianco e nero che rimandavano sulla Terra le prime orme lunari di Neil Armstrong e Buzz Aldrin.


Allora Comparini aveva sei anni, ma a differenza di milioni di suoi coetanei, da quel momento non cullò il sogno di diventare astronauta; si mise in testa di progettare i macchinari che avrebbero portato donne e uomini lassù. Nacque così la passione per l’elettronica che lo ha portato lo scorso aprile alla guida di “Tas Italia”, come gli addetti abbreviano l’azienda che per il 67% appartiene a Thales e per il 33% a Leonardo.


“Mia madre era preoccupata – dice Comparini sorridendo – perché da bambino giocavo con le valvole termoioniche. Ricordo l’eccitazione, a 13 anni, quando con mio padre visitai i laboratori delle industrie Selenia, un mito per l’elettronica”.

Massimo Comparini

Selenia: l’inizio dell’ascesa


Nato a Roma l’8 marzo del 1963, pochi anni dopo Comparini avrebbe iniziato la sua carriera proprio in Selenia. Una crescita professionale inarrestabile: assunto a 19 anni, a 30 era già a capo della progettazione radiofrequenza a microonde, “che per Selenia era un’area di elezione. Fui un caso raro in Italia”.


In quel periodo, dopo l’incorporazione di Selenia in Aeritalia con cambio di nome in Alenia, Comparini fu tra i primi a intuire che la space economy avrebbe subito una trasformazione epocale: “Era terminato un grande progetto finanziato da Asi ed Esa, per assicurare che la Stazione spaziale internazionale fosse sempre in comunicazione con la Terra – racconta – partecipammo, in cosviluppo con Motorola.”

“Per due anni e mezzo ero stato più in Arizona che a casa, nei laboratori di Chandler, dove stava nascendo Iridium. Era già iniziato l’ingresso, nella catena di fornitura, dei grandi prime contractor (Hughes, Boeing, Space Systems Loral) per i payload commerciali di telecomunicazione. Capii come il settore sarebbe cambiato secondo un processo che, visto oggi, è quello che ha portato a entità come SpaceX”.

Thales Alena Space

Alenia e innovazione


L’onda andava cavalcata trovando paradigmi diversi dalla copertura dei costi affidata quasi esclusivamente alle agenzie spaziali. Con i privati era e sarebbe stata un’altra storia: “gli americani lavoravano addirittura cost plus con la Nasa. Poi si è entrati nella fase in cui, dopo un ritardo di pochi giorni su una consegna, un ceo chiamava quello dell’azienda fornitrice per sincerarsi che tutto fosse a posto. Oggi sembra banale, ma nello spazio di 25 anni fa non lo era”.


L’intuizione portò a sviluppare tecnologie riproducibili: “dissi in azienda che avremmo dovuto concepire non il singolo prodotto, ma piattaforme di prodotti, come si fa con i pianali delle automobili. A quanto pare fui convincente, non mi cacciarono. Anzi, in meno di tre anni diventammo il primo esportatore europeo di hardware commerciale. Nel frattempo riuscì anche a laurearmi alla School of Business di Stanford”.


La laurea in Ingegneria elettronica alla Sapienza, a 25 anni, lo portò invece a partecipare a uno dei programmi più gloriosi dell’esplorazione spaziale: “Mi laureai con il professor Giovanni Picardi, il principal investigator di tutta la radaristica spaziale planetaria. Per Cassini mi occupai di progettare il link di collegamento tra Huygens, che scendeva verso Titano, la sonda madre e verso la Terra: fu il suo primo beep a dimostrarmi che le emozioni non erano estranee all’ingegneria”.

Thales Alena Space: spazio e ambiente abitabile


Si definisce olivettiano – “Olivetti aveva il suo centro studi a Cupertino già negli anni ’70” – e prende a esempio la costa Ovest degli Stati Uniti: lì, la logica della condivisione e della contaminazione ha trasformato una terra in cui “negli anni 50 c’erano solo surf, arance e Kerouac” nella Silicon Valley. “Contrapposti alla segretezza delle tecnologie per la Difesa, sulla costa Est, in California nacquero la tribù tecnologica e il mito della Silicon e si passò dalla IT al biotech fino allo spazio”.

Thales Alenia Space

Un ambito, quest’ultimo, in cui Thales Alenia Space è fra i leader nella progettazione e costruzione degli ambienti abitabili in orbita, come i moduli della Iss, la Cupola o il Columbus.


Anche qui, la logica della piattaforma rimane valida. E fino alla Luna: Thales Alenia Space si è aggiudicata contratti per lo sviluppo dei moduli abitativi e di servizio del Gateway (si veda speciale su Cosmo numero 8).

Inoltre lavora con la statunitense Dynetics alla progettazione del lander che dovrà riportare astronauti sulla superficie selenica nel 2024. Una gara a tre, contro i colossi Blue Origin e SpaceX: “Quello per il lander è un sottoinsieme delle tecnologie per un potenziale ambiente lunare – aggiunge – è un altro esempio della ricorrenza dei modelli in grado di generare una serie di prodotti”. Un approccio che non è escluso possa anche portare, fra qualche anno, a un “quartiere” dell’eventuale Moon Village.

Stazione orbitante commerciale


Meno ipotetico è invece il processo che sta trasformando l’orbita bassa terrestre nell’ambito operativo di attori commerciali. Come Axiom, che lavora alla prima stazione spaziale privata: con la società texana, l’azienda guidata da Comparini ha firmato un accordo a giugno: “Stiamo discutendo di due elementi del futuro avamposto: un modulo e un nodo.”

Massimo Comparini

L’obiettivo è di essere il fornitore più importante di quella che sarà la prima stazione orbitante commerciale della storia – continua Comparini – lì si potranno sperimentare nuovi materiali, nuove molecole farmaceutiche, si potranno effettuare test in condizioni uniche. E, è bene chiarirlo, con costi più bassi grazie alla progressiva democratizzazione dell’accesso allo spazio. Ci sono anche aziende che stanno già sviluppando cubesat capaci di operare come microlaboratori autonomi in microgravità”.


Un orizzonte commerciale non così distante, anche in quanto a scadenze temporali, dall’idea di sfruttare le risorse extra atmosferiche, di asteroidi o della Luna; “è una prospettiva – commenta Comparini – che appare sempre meno fantascientifica”.


Sarà una nuova onda da cavalcare, in un ecosistema, quello della new space economy, sempre più articolato grazie alle venture pubblico-private. Un sistema che secondo Comparini ha un futuro certo: “È un effetto di risonanza: il capitale privato va dove tutti dicono sia sensato vada, là dove si è convinti di ottenere ritorni d’investimento importanti”.

Il ruolo italiano


L’Italia, Comparini ne è convinto, può continuare a giocare da titolare grazie all’eccellenza del sistema Paese. Come accade, per esempio, per il programma Copernicus di osservazione della Terra, di cui a Thales Alenia Space sono state affidate dall’Agenzia spaziale europea cinque delle nuove sei missioni, per un valore complessivo di 1,8 miliardi di euro: “Siamo i primi per contribuzione industriale nella nuova fase di Copernicus Extension e questo dimostra la lungimiranza delle istituzioni nel garantire investimenti continui. Abbiamo responsabilità cruciali: anzitutto dobbiamo riportare a casa ricadute industriali significative, che trainino il Paese, la filiera, le Pmi e facciano da incubatore per centri di ricerca, startup e iniziative originali. In più dobbiamo dimostrare quanto le nostre università creino professionalità di alto livello”.


Questo, anche se in Italia mancano privati come Elon Musk o Jeff Bezos, in grado di riscrivere lo scenario spaziale: “Questi nuovi miliardari stanno dando un impulso che le istituzioni difficilmente avrebbero dato. Secondo me, però, l’Italia non sta perdendo terreno, anzi, alla luce di una continuità di investimento, lo sta consolidando. Quando le grandi aziende private guardano l’Europa, guardano noi. Questo potrebbe essere un’altra fonte eccezionale di opportunità e collaborazioni”.

In fondo, quel bambino di sei anni non ha ancora smesso di costruire il suo sogno: realizzare macchine per andare nel futuro.

Iscriviti alla newsletter

Email: accetto non accetto