Recentemente l’installazione dei pannelli solari fotovoltaici ha avuto un incremento esponenziale per garantire un approccio più green e una riduzione dei consumi in ambito edilizio. Ma i pannelli solari vengono utilizzati in moltissimi ambiti, non solo nelle case. In particolare, vengono utilizzati per l’approvvigionamento energetico dei veicoli spaziali. Anzi, ricordiamo che i pannelli di casa sono un sottoprodotto di quelli utilizzati nello spazio. La tecnologia dei pannelli solari è avanzata al punto che l’energia solare è la fonte di energia rinnovabile in più rapida crescita.
I satelliti e i veicoli spaziali vengono alimentati principalmente in due modi: o con energia solare o con energia nucleare. Tuttavia, soltanto la prima non è limitata dalla quantità di carburante che si porta a bordo. Ma se viaggiassimo verso altri sistemi stellari, i pannelli solari funzionerebbero ancora, con la luce di altri astri?
I pannelli solari generano una tensione elettrica grazie all’effetto fotoelettrico. Questo effetto fu scoperto per la prima volta nell’800, quando gli scienziati notarono che corpi metallici carichi potevano emettere cariche elettriche quando erano esposti alla luce ultravioletta.
Non molto tempo dopo, questa caratteristica venne usata per generare energia elettrica, sebbene le prime vere celle solari non apparvero fino alla seconda metà del 1900.
Da allora la ricerca non si è fermata ma si è concentrata sul rendere le celle solari più leggere, economiche ed efficienti. Oggi, i pannelli solari possono sfruttare non solo la luce ultravioletta, ma anche quella visibile e, in alcuni casi, infrarossa. Ovviamente, questi pannelli sono costruiti per sfruttare il Sole come fonte radiante e quindi sono tarati sull’emissione della nostra stella.
Per usare i pannelli al di fuori del Sistema solare, bisogna tenere conto del fatto che la maggior parte degli esopianeti orbita attorno a stelle nane rosse, più fredde del Sole, con un picco di luminosità nel rosso e nell’infrarosso e una emissione molto ridotta nell’ultravioletto.
Per esempio, per visitare il sistema planetario della stella più vicina, Proxima Centauri, avremo dunque bisogno di pannelli solari in grado di sfruttare la luce delle nane rosse.
Un recente studio si è occupato proprio di questo, abbinando alla teoria un design moderno chiamato fotovoltaico organico (OPV), che è leggero e flessibile e consentirebbe di applicare i pannelli solari a grandi vele solari, la tecnologia pensata per le prime sonde interstellari.
Questa tecnologia, rispetto alle celle a base di silicio, ha la capacità di sintonizzarsi su diverse lunghezze d’onda. Attualmente, l’efficienza di una cella solare e le lunghezze d’onda a cui è sensibile si basano sul concetto di banda proibita. Se gli elettroni legati al materiale cellulare assorbono abbastanza energia dai fotoni luminosi, possono “saltare” attraverso la banda proibita nella banda di conduzione, dove possono quindi fluire come corrente elettrica. Quindi, utilizzando diversi materiali organici, è possibile regolare il gap di banda per adattarsi al meglio alla luce disponibile.
Per il Sole funzionerebbe bene una banda proibita più ampia, mentre per Proxima Centauri sarebbe più efficiente una banda proibita stretta. Nel primo caso, se si utilizzasse una banda larga si avrebbe un’efficienza teorica del 18,9%, ma solo dello 0,9% per Proxima Centauri. Al contrario, un modello a banda proibita stretta avrebbe un’efficienza teorica del 12,6% per Proxima Centauri.
Quindi, in sostanza, i pannelli solari potrebbero generare elettricità dalle stelle nane rosse, ma dato che le nane rosse producono molta meno luce del Sole, anche con una buona efficienza produrrebbero una quantità limitata di energia e pertanto i pannelli solari interstellari dovrebbero essere più grandi, aumentando notevolmente il peso e, di conseguenza, il costo della missione.