Ci sono novità interessanti che giungono dai confini del Sistema Solare. La prima è che la New Horizons proseguirà sino alla fine del decennio la sua missione come sonda planetaria e non convertita in eliosferica. Ad annunciarlo è stato il suo investigatore principale Alan Stern, vicepresidente associato del Southwest Research Institute (SwRI), con un post social. Nelle settimane passate, la Nasa aveva prospettato la possibilità di utilizzare la sonda solo per studiare eliosfera e lo spazio interstellare, esattamente come per le due sonde Voyager.
Una sonda in ottima forma
A differenza delle due storiche navicelle, quasi prossime all’esaurimento delle batterie e con la strumentazione scientifica al minimo, New Horizons è in ottima forma con ancora tutti gli strumenti funzionanti e con energia a sufficienza per molti anni ancora. Insomma, ancora in grado di produrre scienza ed esplorare altri corpi nella buia regione in cui si trova adesso, cioè circa 57 Unità Astronomiche. Convertire la sonda per eliofisica (lo studio del Sole e del suo involucro di plasma) sarebbe stato uno spreco.
Stern aveva patrocinato una raccolta di firme per convincere la Nasa ad accordare un’altra estensione della missione. A prescindere, l’estensione era pressoché scontata per l’ottimo stato di funzionalità complessivo della navicella.
Arrokoth, un fossile del Sistema solare
Dopo essere stato il primo manufatto umano a raggiungere il sistema di Plutone, con spettacolari immagini del pianeta nano e dei suoi satelliti, New Horizons aveva poi raggiunto un altro oggetto della fascia di Kuiper denominato Arrokoth, a inizio 2019. L’analisi di quei dati è proseguita per tutti questi anni. Nel nuovo studio condotto da Stern e colleghi, la struttura dell’oggetto sembra riconducibile all’accumulo di corpi più piccoli. 12 tumuli con caratteristiche tra loro simili sono stati riconosciuti sul lobo più grande di Arrokoth, Wenu. Altri tre tumuli sono stati invece identificati sul lobo più piccolo, Weeyo.
In apparenza poco differenziato, Arrokoth all’analisi spettrale rivela invece una morfologia complessa derivata direttamente dal suo assemblaggio con elementi tra loro molto simili. La sua struttura ricorda per molti versi quella di una mora. La sua geologia supporta il modello d’instabilità del flusso della formazione planetesimale in cui basse velocità di collisione hanno consentito agli oggetti di accrescersi delicatamente.
“Le somiglianze, comprese le dimensioni e altre proprietà, delle strutture dei tumuli di Arrokoth suggeriscono nuove intuizioni sulla sua formazione”, afferma Stern. “Se i tumuli sono effettivamente rappresentativi degli elementi costitutivi degli antichi planetesimi come Arrokoth, allora i modelli di formazione planetesimale dovranno spiegare la dimensione preferita per essi. Sarà importante cercare strutture simili a tumuli sui planetesimi osservati da queste missioni per vedere quanto sia comune questo fenomeno, come altra guida alle teorie sulla formazione dei planetesimi”.
Che cosa c’è oltre?
Sembrava che dopo Arrokoth non ci fosse praticamente nulla, con la cintura di Kuiper che termina drasticamente intorno a 50 AU. Tuttavia non è zero e oltre quella distanza ci sono vari oggetti definiti diffusi, alcuni davvero a grandi distanze. L’osservazione dei dischi di detriti di altre giovani stelle lascia supporre che un sistema planetario si estenda ben più in là del bordo esterno e che possa esserci altro.
Oggettivamente, il Sistema planetario sino a Nettuno, rappresenta appena una piccola frazione dell’intera regione sotto l’influenza gravitazionale del Sole. Gli effetti gravitazionali sono ancora presenti anche in quella regione già definita spazio interstellare, dove viaggiano Pioneer 10 e 11 e Voyager 1 e 2 e dove si sta dirigendo di gran carriera New Horizons.
Una regione buia e lontana
L’estensione della missione obbliga a trovare nuovi bersagli per futuri sorvoli. Tale ricerca è svolta dal suolo con pazienti sondaggi profondi. Gli oggetti della fascia di Kuiper sono maledettamente deboli e sfidano anche la cattura con i più grandi telescopi al suolo, come il Subaru di 8,2 m sul Mauna Kea delle Hawaii. Confrontando immagini prese a distanza di mesi o anni, tali oggetti in lento movimento tra le stelle di sfondo sono rilevabili e vanno a incrementare il censo degli oggetti in quella plaga oscura del Sistema solare.
Il gruppo di astronomi che si occupa di queste ricerche, guidato da Wesley Freser del National Research Council Canada, ha fatto un’intrigante scoperta che mette in discussione quello che sapevamo del nostro sistema planetario. 12 oggetti orbitano a oltre 60 UA e suggeriscono che la cintura di Kuiper si estenda più lontano di quanto ritenuto. L’apparente divario di 10 UA tra questi corpi e la cintura di Kuiper conosciuta tra 30 e 50 UA, lascia supporre l’esistenza di una seconda fascia.
Gli impatti di polvere non calano
La scoperta, pur preliminare, è supportata dall’osservazione della New Horizons, adesso distante 57 UA, quindi a poco oltre la metà della lacuna tra fascia di Kuiper e nuova possibile fascia. Alcuni strumenti sono in ibernazione ma il contatore di impatti con la polvere interstellare è tuttora operativo. Il team che controlla la sonda nel suo viaggio si aspettava un calo drastico degli eventi registrati, invece il numero degli impatti non sta diminuendo.
“La spiegazione più semplice è che ci siano altre cose là fuori che non abbiamo ancora rilevato”, afferma ancora Stern. “In un modo o nell’altro, qualcosa è responsabile del mantenimento di questo divario”, dice invece Mihály Horányi, fisico spaziale dell’Università del Colorado Boulder che supervisiona il contatore di polvere. Di solito gli spazi vuoti indicano la presenza di un oggetto di taglia planetaria che abbia ripulito la sua orbita. Ma nella possibile lacuna non c’è alcun pianeta di grandi dimensioni. Quelle 10 UA vuote possono anche essere una reliquia dell’infanzia del Sistema Solare, causata dalle onde di pressione nel disco.
Non tutti concordano
Non tutti sono però d’accordo con l’esistenza della seconda fascia perché altri sondaggi profondi non hanno rilevato nulla oltre le 50 UA. Ad esempio il telescopio Víctor M. Blanco da 4 metri in Cile in una diversa fetta di cielo ha rilevato un solo oggetto oltre tale distanza. I potenziali nuovi obiettivi di New Horizons sono anche più difficili da trovare perché la sonda, vista dalla Terra, sembra diretta verso il centro luminoso della Via Lattea, occupato da un vero muro stelle.
Per migliorare il segnale, il team esegue lo stack con centinaia di immagini ottenute in una notte di osservazione, sperando in un rilevamento lungo la traiettoria. Inizialmente, il team ha esaminato visualmente le immagini, vagliando 15.000 candidati ogni notte. Ora, l’intelligenza artificiale rende lo screening più veloce. Dalle nuove osservazioni dovrebbero emergere nuove scoperte e se la seconda fascia è reale, almeno una dozzina di oggetti dovrebbe trovarsi sopra le 60 UA