UN CIELO CHE NON SMETTE DI STUPIRCI

Le scoperte del 2024 hanno svelato nuovi dettagli sull’Universo e ispirano nuove domande per il futuro

by Piero Stroppa

Grazie alla combinazione di telescopi spaziali e osservatori terrestri, che osservano il cielo in tutte le bande dello spettro elettromagnetico, a cui si aggiungono le indagini compiute dalle sonde interplanetarie che navigano il Sistema solare, nel 2024 sono stati ottenuti risultati eccezionali dal punto di vista scientifico, che in alcuni casi hanno prodotto anche immagini mozzafiato.
Tutto questo ha richiesto un grande sforzo tecnologico e di collaborazione internazionale che è una delle principali garanzie per la pace. La battaglia per la conoscenza è una delle più nobili imprese dell’umanità che può essere combattuta solo restando uniti, con la coscienza che questa battaglia non si esaurirà mai, perché ogni risposta scatena nuove domande per il futuro, in una spirale infinita.

L’elenco che forniamo di seguito è forzatamente incompleto. Alcune di queste imprese sono già state presentate negli articoli e nei notiziari pubblicati su Cosmo2050, oppure sono in preparazione per i prossimi numeri della rivista.

Nessuna di queste imprese è conclusiva e raccomandiamo di “rimanere in linea” per conoscere il seguito, nel 2025 e nei prossimi anni a venire.

L’atlante cosmico di Euclid

E’ iniziata la pubblicazione dell’atlante cosmico del telescopio spaziale Euclid dell’Agenzia spaziale europea. Si tratta di una anteprima del futuro atlante che verrà completato nel corso della missione.

Nei prossimi sei anni, Euclid condurrà una survey che coprirà circa 15mila gradi quadrati del cielo, utilizzando strumenti nel visibile e infrarosso per mappare la distribuzione della materia visibile e quella oscura, fornendo una vista tridimensionale dell’Universo. Grazie a queste osservazioni, gli scienziati potranno studiare l’evoluzione delle galassie, la struttura a grande scala del cosmo e il ruolo della materia oscura e dell’energia oscura nel disegno della geometria dell’Universo.

Una stella fuori dalla Via Lattea

Per la prima volta, gli astronomi hanno ottenuto l’immagine di una singola stella situata al di fuori della Via Lattea, grazie al Very Large Telescope Interferometer (VLTI) dell’Eso (Osservatorio australe europeo) in Cile.

La stella è la supergigante rossa WOH G64 che si trova nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra, a circa 160mila anni luce da noi. Questa impresa straordinaria rappresenta un traguardo fondamentale nell’osservazione stellare, e dimostra la capacità tecnica degli strumenti moderni, che è destinata a raffinarsi ancora di più.

Il James Webb fotografa la galassia più lontana mai osservata

La galassia JADES-GS-z14-0 rappresenta un record straordinario nella nostra comprensione del cosmo: è la galassia più distante mai osservata, individuata durante l’indagine JADES (JWST Advanced Deep Extragalactic Survey) condotta dal telescopio spaziale James Webb. Dotata di un redshift (spostamento delle righe spettrali verso il rosso) pari a 14,32, secondo le teorie attuali, la osserviamo come si presentava quando l’Universo aveva solo 290 milioni di anni, offrendo una visione diretta su una delle primissime epoche di formazione galattica.
La luce di JADES-GS-z14-0 ha viaggiato per oltre 13,4 miliardi di anni prima di raggiungere il telescopio, permettendo agli scienziati di studiare la composizione, la formazione stellare e le proprietà chimiche di una galassia primordiale,

Una galassia in formazione nell’Universo primordiale

Ancora il telescopio spaziale James Webb ha osservato nel dettaglio una giovane galassia soprannominata Firefly Sparkle, che scintilla come uno sciame di lucciole, grazie a dieci ammassi stellari che sono stati individuati, nonostante la distanza cosmologica di circa 13 miliardi di anni luce, per un effetto di lente gravitazionale prodotto da un ammasso di galassie interposto, che agisce come una lente naturale, ingrandendo la luce della galassia distante.
La luce di Firefly Sparkle proviene da un’epoca in l’Universo aveva solo 600 milioni di anni e la galassia appare già circondata da due piccole compagne galattiche, che potrebbero essere in fase di fusione con la galassia principale e che ricordano le due Nubi di Magellano che accomagnano la nostra Via Latttea.

Il buco nero Sagittarius A* in luce polarizzata (vedi figura in apertura)

La collaborazione internazionale di strumenti che porta il nome di Event Horizon Telescope (EHT) ha realizzato per la prima volta una immagine in luce polarizzata di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio situato al centro della Via Lattea. L’immagine non solo mostra l’ombra del buco nero, ma rivela anche il comportamento del campo magnetico nel gas circostante.

La polarizzazione della luce è un fenomeno che si verifica quando la luce viene influenzata da campi magnetici e in questo caso fornisce informazioni sulla fisica estrema delle regioni prossime al buco nero. Le osservazioni indicano che i campi magnetici giocano un ruolo fondamentale nel regolare il flusso di materiale verso Sgr A*, influenzando il processo di accrescimento del buco nero e l’emissione di energia.

Un sistema binario di stelle vicino a Sagittarius A*

Ancora il buco nero centrale della Via Lattea è stato protagonista di una scoperta eseguita grazie allo strumento SINFONI installato sul Very Large Telescope dell’ESO in Cile. Si tratta di D9, la prima coppia di stelle mai trovata vicino al buco nero supermassiccio.
Questo sistema binario rappresenta una scoperta eccezionale, che fornisce nuove informazioni sui processi di formazione stellare e sulla dinamica estrema delle stelle che orbitano attorno a un buco nero, dove in teoria un sistema del genere non potrebbe esistere, perché disgregato dal potente campo gravitazionale di Sgr A*.
Si stima che il sistema binario abbia un’orbita estremamente compatta, con le due stelle separate da poche centinaia di milioni di km e che abbia comunque una vita breve, in termini astronomici.

Hubble offre una vista ravvicinata sul quasar 3C273

Le osservazioni del telescopio spaziale Hubble, che non intende andare in pensione, nonostante sia afflitto da numerosi acciacchi, hanno rivelato dettagli senza precedenti di un quasar lontano, uno degli oggetti più luminosi e potenti dell’Universo.
Situato a tre miliardi di anni luce dalla Terra, il quasar 3C273 si distingue per l’intensa radiazione emessa mentre il materiale cade verso il buco nero supermassiccio situato al suo centro. Le osservazioni di Hubble hanno messo in evidenza non solo il nucleo brillante, ma anche il getto di materiale espulso, che si estende per decine di migliaia di anni luce nello spazio intergalattico.

Una lontana supernova per la tensione di Hubble

Un effetto di lente gravitazionale ha creato tre immagini della stessa supernova, soprannominata H0pe, appartenente all’ammasso di galassie G165 la cui luce è stata deformata e amplificata dall’ammasso di galassie Abel 2744 situato lungo la linea di vista.

Questo fenomeno, ripreso dalla NirCam del telescopio James Webb, ha permesso ai ricercatori di osservare l’esplosione in tre momenti diversi della sua evoluzione, poiché la luce ha seguito percorsi di lunghezza diversa per raggiungerci. Questo effetto, non solo crea una spettacolare rappresentazione visiva, ma offre anche un’opportunità unica per sondare l’Universo primordiale.
Le immagini di H0pe sono state utilizzate per affrontare una delle questioni più controverse in cosmologia: la “tensione di Hubble”. Combinando i ritardi temporali tra le immagini, la distanza della supernova e le proprietà della lente gravitazionale, si è riusciti a calcolare un valore di 75,4 km al secondo per megaparsec, per la costante di Hubble, che misura il tasso di espansione dell’Universo.
Questo valore si allinea con le misurazioni dell’Universo locale, ma rimane differente dai valori derivati dall’Universo primordiale. Questo risultato, quindi, non risolve il problema della tensione di Hubble, anche se offre un nuovo metodo indipendente per affrontare il problema.

Esopianeti per tutti

Non si ferma la ricerca e la caratterizzazione degli esopianeti, che si presentano in quantità (abbiamo superato i 6000) e con tipologie incredibili, anche se gli scienziati sono sempre alla ricerca del “gemello” della Terra, non tanto per cercare di andarlo ad abitare, come qualcuno vaneggia, come se fosse una “Terra di scorta”, ma per avere un riferimento simile al nostro pianeta da studiare, per individuarne origine ed evoluzione.
Insieme a questa ferve anche la ricerca di acqua nel Sistema solare, che continua a riservare sorprese, anche nella segreta di speranza di individuare delle forme di vita, magari protette da spesso croste di ghiaccio. Come è avvenuto recentemente in Antartide, nel lago Enigma, dove sono state individuate forme di vita primitiva separate dal resto del mondo.
Per le scoperte in ambito esoplanetario e nel sistema solare avvenute nel 2024, vedi la news Esopianeti e acqua nello spazio: un anno di grandi scoperte.

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