Che ci debbano essere lo pensano quasi tutti e averne trovati altri due tra le stelle del Sestante e della Vergine, è l’ennesima conferma che nell’alone esteso della Via Lattea ci debba essere una ricca collezione di debolissimi sistemi satellite formati da poche stelle. Due in più, tuttavia, non risolvono un dilemma che gli specialisti affrontano da qualche tempo: dove sono tutte le galassie satellite che vengono fuori dalle simulazioni cosmologiche basate sul modello della Materia Oscura Fredda con Energia Oscura (ΛCDM)?
Satelliti mancanti
Noto come “problema dei satelliti mancanti”, è uno dei maggiori grattacapi della cosmologia contemporanea poiché il modello ΛCDM, che ben descrive la struttura a grande scala dell’Universo, quando zumiamo alla dimensione galattica, fallisce miseramente generando una pletora di centinaia di galassie satellite intorno alla Via Lattea (e le altre simili). Non ci sarebbe niente di strano se non fosse che, di tutte quelle galassie nane previste, ne conosciamo appena una settantina tra candidate e confermate. Perché?
A braccio, gli astrofisici propendono per due possibilità: quei satelliti ci sono e non li troviamo perché sono molto deboli e ben mimetizzati nei campi stellari, oppure il modello cosmologico standard richiede un importante aggiustamento. Nel primo caso non possediamo strumenti abbastanza potenti da riuscire a scovare centinaia di sistemi stellari debolissimi, quindi sarebbe un limite strumentale. Nel secondo caso, ci sfugge qualcosa d’importante con forti implicazioni sull’evoluzione cosmica, quindi andrebbero riviste alcune cose riguardanti la gravità, la materia oscura e la formazione galattica.
La soluzione è nel mezzo?
Forse la soluzione è nel mezzo e andrebbe considerata la possibilità che non tutti i piccoli aloni di materia oscura riescano a guidare la formazione stellare sotto un certo limite di massa. Altrettanto la misteriosa materia oscura, che tradisce la sua presenza solo per via gravitazionale, potrebbe possedere proprietà che influenzi la formazione stellare soltanto con certe condizioni fisiche. Recenti simulazioni basate sulla cosiddetta “materia oscura auto-interagente”, sorprendentemente, riescono a riprodurre molto bene quanto osserviamo intorno alla Via Lattea. Sono state proposte inoltre soluzioni che invocano le teorie MOND, senza la presenza di alcuna materia oscura. Il fatto è che questa misteriosa sostanza c’è, altrimenti non si spiegano alcuni fenomeni, come ad esempio le lenti gravitazionali.
Lo scenario che si prospetta è, in ogni caso, quello in cui nell’alone della Via Lattea si aggira un gran numero di minuscoli oggetti dominati dalla materia oscura con poche stelle nel loro centro, retaggio della prima formazione stellare: in sostanza i sopravvissuti di una popolazione che ha accresciuto la nostra Galassia e in attesa di essere catturati e inglobati.
Sondaggi profondi
Negli ultimi anni è apparso fin troppo chiaro come tali oggetti siano intrinsecamente deboli e difficili da identificare nei sondaggi profondi condotti con strumenti dell’ordine 2-4 metri, quindi si è pensato che la strategia per identificarli fosse quella di impiegare strumenti di classe maggiore benché in aree più ristrette rispetto a un classico sondaggio. Gli astronomi chiamano tali aree “footprint” (impronta).
A tale scopo un gruppo di ricerca in prevalenza giapponese guidato da Daisuke Homma, ha utilizzato i dati del sondaggio Hyper Suprime-Cam (HSC) del Subaru Strategic Program (SSP) mediante il telescopio Subaru di 8m per cercare nuovi satelliti della Via Lattea.
Sextans II e Virgo III
Il footprint HSC-SSP occupa circa 1.140 gradi quadrati e un recente articolo scientifico ne illustra i risultati finali comunicando la scoperta di altri due candidati in aggiunta i tre comunicati in precedenza. Nello specifico, Sextans II alla distanza eliocentrica di 126 kpc e Virgo III a 151 kpc. La loro magnitudine assoluta è rispettivamente MV ≃ −3,9 e −2,7 il che li pone ben dentro la classe delle galassie nane ultradeboli (UFD) e raggi medi di 154 e 44 parsec. Come i precedenti candidati, anche SexII e VirIII sono stati trovati mediante speciali algoritmi di ricerca automatica di sovradensità stellare.
In totale, nell’impronta HSC-SSP sono stati identificati nove satelliti della nostra Galassia. Di questi, quattro erano già noti (Sextans I, Leo IV, Leo V e Pegasus III), invece cinque (Virgo I, Cetus III, Bootes IV, Sextans II e Virgo III), sono stati identificati nel sondaggio. Secondo gli autori, possono esserci interessanti implicazioni sulla questione satelliti mancanti.
Troppi satelliti?
Un calcolo empirico che tiene conto di tale tasso di scoperta in una regione alquanto piccola di cielo (9 oggetti), porta a stimare un numero considerevole di satelliti su tutto il cielo, ben maggiore a quello stimato dalle simulazioni ΛCDM in circa 220. In altri termini ci troveremmo di fronte al problema opposto: di satelliti ce ne sarebbero almeno il doppio del previsto. Se così fosse, ci sarebbero le condizioni per una nuova tensione cosmologica.
Prima di riscrivere i libri di cosmologia, vanno però considerate le possibili soluzioni per risolvere la tensione. La stima deriva essenzialmente dal numero di galassie per grado quadrato calcolate su tutta l’estensione della volta celeste, ipotizzando una distribuzione isotropa di satelliti nell’alone galattico. In realtà, sia nella Via Lattea sia in alcune galassie vicine, i satelliti sembrano disporsi in strutture appiattite complanari o asimmetriche.
Già da qualche tempo sappiamo che la maggioranza dei satelliti della Via Lattea giace su un grande piano, suggerendo una distribuzione non isotropa guidata dalla rete cosmica. In tale scenario, la previsione di un numero doppio di satelliti andrebbe rivista al ribasso, riportandola comunque nei valori previsti dalle simulazioni. In altre parole, il problema dei satelliti mancanti rimane e le ultime scoperte non aggiungono nuove tensioni al modello cosmologico.