All’inizio di agosto, scienziati e ingegneri si sono riuniti al Caltech, in California, per gettare le basi del primo telescopio spaziale in grado di rilevare la vita aliena su pianeti simili alla Terra.
Il progetto è stato battezzato Habitable Worlds Observatory (HWO) e sarà un degno compagno di scoperte del James Webb Space Telescope della NASA. Esso sarà in grado di studiare stelle, galassie e una miriade di altri oggetti cosmici, compresi i pianeti al di fuori del nostro Sistema solare.
Questi pianeti sono importanti perché là, potenzialmente, potrebbero esserci anche forme di vita aliena.
Certo, trovare la vita aliena sugli esopianeti non è impresa banale, anche perché non sappiamo se sia presente e con cosa ci si debba rapportare. Tuttavia, il workshop del Caltech mirava a valutare lo stato della tecnologia di cui HWO avrebbe bisogno per una tale impresa.
Proposto per la prima volta come parte del Decadal Survey on Astronomy and Astrophysics 2020 (Astro2020) della National Academy of Sciences, che prevede diversi obiettivi lungo un lasso di tempo di 10 anni, HWO prevede un lancio compreso fra il 2030 e il 2040, e la sua vita operativa sarà divisa tra astrofisica generale e studi sugli esopianeti.
Grazie a questo telescopio, sarà possibile comprendere interi sistemi solari al di fuori del nostro e caratterizzare le atmosfere degli esopianeti, cercando indizi della vita. L’analisi delle atmosfere degli esopianeti non è semplice. Questo perché la luce della stella spesso soverchia quella riflessa dal pianeta, inglobandolo visivamente all’interno di essa. Ma ci sono due modi principali per bloccare la luce della stella: una piccola maschera interna al telescopio, che viene chiamata coronografo, e una grande maschera esterna al telescopio, chiamata “ombrello stellare”.
In entrambi i casi, la luce delle stelle viene bloccata e, in questo modo, è possibile rivelare la debole luce stellare riflessa dal pianeta vicino. Un po’ come quando si tiene la mano alzata per bloccare il sole mentre si scatta una foto.
In questo modo è possibile catturare direttamente la luce di un pianeta e utilizzare gli spettrometri che scompongono la luce nelle sue firme chimiche. Se è presente una qualsiasi forma di vita su un pianeta in orbita attorno a una stella lontana, allora le loro emissioni o il loro impatto potrebbe essere rilevabile sotto forma di biofirme.
Si stima che ci siano fino a diversi miliardi di pianeti di dimensioni terrestri nella zona abitabile delle stelle della nostra Galassia, dove le temperature sono adatte per l’acqua liquida. Si vuole dunque sondare le loro atmosfere in cerca di ossigeno, metano, vapore acqueo e altre sostanze chimiche che potrebbero segnalare la presenza di vita.
È un problema di coronografo
Secondo gli scienziati, lo strumento più probabile da equipaggiare sul telescopio sarà un coronografo in grado di ridurre la luce di una stella al punto in cui lo strumento può riprendere foto dei suoi pianeti che sono circa un milione di volte più deboli della stella, permettendo di caratterizzare in dettaglio le atmosfere, le orbite e i parametri di rotazione dei pianeti.
Detto così, sembra semplice, ma immaginare direttamente un pianeta gemello della Terra richiede un massiccio perfezionamento delle tecnologie attuali. Infatti, pianeti come la Terra che orbitano attorno a stelle simili al Sole nella zona abitabile “annegano” facilmente nella luce delle loro stelle. Il nostro Sole ha una luminosità che supera quella riflessa dalla Terra di 10 miliardi di volte e affinché un coronografo raggiunga questo livello di soppressione della luce stellare, è necessario spingere la tecnologia veramente al limite.
Per questo è stata vagliata l’ipotesi di usare un coronografo che prevede il controllo della luce attraverso uno specchio deformabile. Infatti, mentre i coronografi possono bloccare gran parte della luce di una stella, la luce diffusa può ancora farsi strada nell’immagine finale, sotto forma di macchioline. In questo modo, sarebbe possibile eliminare anche questa componente residua.
Questo tipo di coronografo sarà equipaggiato per la prima volta a bordo del telescopio Nancy Grace. Il Roman Coronagraph Instrument consentirà agli astronomi di fotografare esopianeti fino a un miliardo di volte più deboli delle loro stelle, permettendo di rilevare anche giganti gassosi e dischi di detriti rimasti dal processo di formazione dei pianeti.
Altri argomenti di conversazione durante il workshop includevano il miglior tipo di specchio primario da utilizzare con il coronografo, rivestimenti per specchi, gestione dei danni agli specchi da micrometeoriti, tecnologie di specchi deformabili, nonché rivelatori e strumenti avanzati per la modellazione e la progettazione integrate.