Gli scienziati dell’European Pulsar Timing Array (Epta), in collaborazione con i colleghi indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (Inpta), hanno pubblicato i risultati di dati raccolti in oltre 25 anni, che promettono di condurre a scoperte senza precedenti nello studio della formazione e dell’evoluzione dell’Universo e delle galassie che lo popolano.
L’Epta è una collaborazione di scienziati di undici istituzioni in tutta Europa, fra cui due in Italia (l’Inaf e l’Università di Milano-Bicocca), e riunisce astronomi e fisici teorici, al fine di utilizzare le osservazioni degli impulsi estremamente regolari provenienti da stelle “morte” chiamate pulsar, per costruire un rilevatore di onde gravitazionali delle dimensioni della nostra Galassia.
Una nuova banda dello spettro gravitazionale
“Le pulsar sono eccellenti orologi naturali e possiamo usare l’incredibile regolarità dei loro segnali per cercare minuscoli cambiamenti nel loro ticchettio causati da sottili dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocati da onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano”, spiega Golam Shaifullah, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca nel gruppo di ricerca B Massive diretto da Alberto Sesana, professore ordinario dell’Ateneo, e finanziato dall’European Research Council.
Questo gigantesco rivelatore di onde gravitazionali – che dalla Terra si estende in direzione di 25 pulsar, selezionate all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce – rende possibile sondare le onde gravitazionali a frequenze molto più basse di quelle osservate dagli interferometri terrestri, tra cui spiccano Virgo a Cascina (vicino a Pisa) e Ligo in Usa. A queste frequenze si celano alcuni dei segreti meglio custoditi dell’Universo. Tra questi, la sfuggente popolazione cosmica di buchi neri binari con masse di miliardi di volte maggiori di quella del Sole. Essi si trovano a orbitare al centro di galassie che stanno fondendosi, e durante questa “danza cosmica”, la teoria della relatività generale di Einstein prevede che emettano onde gravitazionali ultra lunghe.
Grazie ai più grandi radiotelescopi europei
I risultati si basano su decenni di campagne di osservazione coordinate, che utilizzano i cinque più grandi radiotelescopi in Europa. Questi strumenti sono l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia, il Sardinia Radio Telescope in Italia e il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi. Queste osservazioni sono state integrate dai dati forniti dai colleghi di Inpta; inoltre, l’esercizio di combinare le osservazioni dell’Epta con quelle del Giant Metrewave Radio Telescope in India ha reso l’insieme di dati ancora più sensibile.
I risultati dell’Epta si confrontano con una serie di pubblicazioni annunciate in parallelo da altre collaborazioni in tutto il mondo, facenti capo agli esperimenti di tipo Pta (pulsar timing array) australiano, cinese e nordamericano. I vari risultati sono consistenti fra tutte le collaborazioni, ciò che corrobora ulteriormente la presenza nei dati di un segnale dovuto a onde gravitazionali.
“L’insieme di dati dell’Epta è straordinariamente lungo e denso e ha permesso di ampliare la finestra di frequenza in cui possiamo osservare queste onde,” – commenta Alberto Sesana – “permettendo una migliore comprensione della fisica delle galassie che si fondono e dei buchi neri supermassicci che esse ospitano”.
La lunghezza del set di dati consente infatti di sondare onde gravitazionali che oscillano in maniera incredibilmente lenta, consentendo di esplorare sistemi binari di buchi neri con periodi orbitali di decine di anni. D’altra parte, la cadenza dei dati consente anche di studiare onde che compiono molte oscillazioni al mese, dando accesso a sistemi di buchi neri con periodi orbitali molto più brevi, dell’ordine di pochi giorni.
Necessarie cautele
I risultati dell’analisi dei dati Epta sono in linea con quanto atteso dalle predizioni degli astrofisici. Nataliya Porayko, visiting researcher all’Università di Milano-Bicocca, tuttavia, sottolinea che “una regola d’oro in fisica per conclamare la scoperta di un nuovo fenomeno è che il risultato dell’esperimento abbia una probabilità di verificarsi casualmente meno di una volta su un milione”.
Il risultato riportato da Epta – così come dalle altre collaborazioni internazionali – non soddisfa ancora questo criterio, infatti c’è ancora circa una probabilità su mille che fonti di rumore casuali cospirino per generare il segnale. “Ma i lavori sono già in corso – come spiega Aurelien Chalumeau, assegnista del gruppo B Massive – gli scienziati delle quattro collaborazioni stanno combinando i loro dati con il coordinamento dell’International Pulsar Timing Array”.
L’obiettivo è quello di ampliare gli attuali insiemi di dati, sfruttando misure effettuate su oltre 100 pulsar, osservate con tredici radiotelescopi in tutto il mondo. L’accresciuta quantità e qualità dei dati dovrebbe consentire agli astronomi di raggiungere l’obiettivo nel prossimo futuro, fornendo la prova inconfutabile che una nuova era nell’esplorazione dell’Universo è iniziata.
(Fonte: Università Milano-Bicocca)