Un simulatore di mondi alieni

I batteri possono fare la fotosintesi su altri mondi?

Forse non tutti sanno che in natura ci sono dei batteri che fanno la fotosintesi, proprio come le foglie. Beh, non proprio esattamente, ma il concetto è quello. Trasformano energia solare in energia chimica per potersi sostenere.

Recentemente queste creaturine prodigiose sono diventate il punto focale della ricerca nel contesto dell’esplorazione spaziale umana. Infatti, essi hanno un ruolo chiave nella produzione di biomasse traspiranti O2, biomasse commestibili e rigenerazione di atmosfere ricche di CO2  e acque reflue prodotte dagli astronauti. Inoltre, lo studio delle loro produzioni gassose potrebbe fornire importanti indizi su cosa aspettarsi su pianeti simili alla Terra che orbitano attorno a vari tipi di stelle.

La vita, si sa, modifica l’ambiente in cui vive. Ovvio, ammesso che ci siano batteri fotosintetici. Se non ci fossero stati i batteri, nemmeno sulla Terra ci sarebbe stato così tanto ossigeno! Ma veniamo per ordine.

Tutto nacque quando si pensò di costruire un simulatore stellare. Non ce n’erano in giro come serviva a noi. La diavoleria che avevamo in mente era una lampada che simulasse lo spettro di stelle diverse, in particolare quelle di tipo spettrale F, G, K e M, attraverso una combinazione di differenti Led che spaziavano entro il range da 365nm a 940nm. Certo, esso non riproduceva tutto lo spettro della stella, ma soltanto quello che serviva agli organismi per fare fotosintesi. Eh sì, perché solitamente, gli organismi che fanno fotosintesi non sono sensibili a tutto lo spettro che proviene dalla stella, ma operano nella cosiddetta PAR, o radiazione fotosinteticamente attiva, che nella maggior parte dei casi non si spinge oltre i 750 nm.

La scelta della stella miglior candidata alla ricerca della vita fu quella di tipo M, perché il 40% di questi astri sono in grado di ospitare delle super-terre con massa compresa 1 e 30 masse terrestri, periodi orbitali inferiori a 50 giorni e raggi compresi tra quelli della Terra e Nettuno (1 e 3,8 raggi terrestri). Inoltre, sono le più numerose che sono in circolazione. Le stelle M hanno però uno spettro diverso da quello del Sole, sono più fredde, meno luminose dove il sole è più potente e più luminose nella parte infrarossa. Quindi gli organismi che abitano su pianeti attorno a queste stelle sperimenterebbero una luce differente da quella che viene usata dagli organismi terrestri. Sarebbero ancora in grado di fare la fotosintesi? E da qui l’idea.

Schema dell’allestimento strumentale. Nella parte superiore c’è il sistema di illuminazione che riproduce la radiazione di alcuni tipi di stelle ed uno spettrometro di controllo. In basso c’è una camera di incubazione, dove sono ospitati gli organismi.

La recente scoperta di cianobatteri in grado di utilizzare la luce rosso lontano (FR) per la fotosintesi ossigenica dovuta alla sintesi delle clorofille d e f, ha esteso l’assorbimento della luce nella zona del vicino infrarosso per batteri in vivo e ha suggerito la possibilità di cercare organismi che operassero una fotosintesi esotica in pianeti orbitanti attorno alle nane M. Perché quindi non prendere dei batteri fotosintetici e illuminarli con la luce di una stella aliena per vedere se sono ancora in grado di produrre ossigeno? Ecco qui. Recentemente è stato anche scoperto che la presenza di ossigeno insieme con altri gas come CH4 o N2O è il segnale di uno squilibrio termodinamico che per lungo tempo è stato considerato come una buona prova per la vita. Abbiamo così costruito una cameretta dotata di ogni comfort dove far vivere batteri fotosintetici ed in grado di rilevare ossigeno e anidride carbonica, scelto gli ospiti e siamo partiti con l’esperimento. Abbiamo anche dotato la cameretta di un dispositivo per la misura della riflettanza. Questa informazione è molto preziosa poiché permette di misurare da remoto l’indice Ndvi (un indicatore grafico che può essere utilizzato per analizzare le misure ottenute da lontano e valutare se la zona osservata contiene organismi fotosinteticamente attivi) e di monitorare la loro performance di crescita e di scambio di gas in determinate condizioni di luce, temperatura, pressione e atmosfera. I batteri scelti per l’esperimento furono Chlorogloeopsis fritschii PCC6912 e Chroococcidiopsis thermalis PCC7203, esemplari già noti per essere in grado di foto-acclimatarsi alla luce rossa lontana (FaRLiP). Inoltre, è stato usato anche un cianobatterio che non esegue FaRLiP, Synechocystis sp. PCC 6803, come organismo di controllo.

Chlorogloeopsis fritschii PCC6912 è un organismo che può sopravvivere in condizioni ambientali molto diverse per intensità luminosa e temperatura. Sulla Terra, i suoi habitat favorevoli sono le sorgenti termali e i laghi iper-salini. La peculiarità di questo ceppo è la sua capacità di sintetizzare clorofilla a, d ed f , ovvero di spingersi verso il vicino infrarosso nel processo di conversione della luce in energia. Questi ultimi due tipi di clorofilla vengono prodotti in quantità maggiore quando l’organismo cresce, appunto, in luce vicino-infrarossa.

Per contro, Chroococcidiopsis thermalis PCC7203 è un cianobatterio che si può trovare in caverne, grotte, deserti caldi e freddi e sorgenti termali. Come Chlorogloeopsis fritschii, anche Chroococcidiopsis thermalis esegue FaRLiP ed entrambi crescono continuamente e foto-autotroficamente in luce rossa. Infine, il batterio Synechocystis sp. PCC 6803 è un cianobatterio ben noto utilizzato come ceppo modello poiché il suo genoma è stato completamente sequenziato ed è stato selezionato come organismo di controllo in quanto non ha il cluster di geni responsabile del FaRLip e non riesce ad acclimatarsi ad una vita “a luci rosse”. I risultati dell’esperimento sono stati sorprendenti: i batteri sottoposti all’irradiazione che simulava una stella M, erano in grado di crescere e produrre ossigeno! Sembra che non importasse se la densità di fotoni nell’intervallo PAR fosse bassa come può essere bassa per le stelle M, i cianobatteri riuscivano a usare tutti questi fotoni in modo efficiente senza alcun tipo di stress.  Se le tracce evolutive su un pianeta nella zona abitabile di una stella M sono abbastanza simili a quelle sulla Terra quindi, gli organismi fotosintetici, se presenti, potrebbero produrre O2 e fissare CO2 in materia organica anche su pianeti differenti dalla Terra.

La cella di reazione all’interno del simulatore. Nell’immagine di sinistra, si vede che la cella è posizionata sulla cella di Peltier per mantenere una temperatura costante al suo interno. Nell’immagine sono anche visibili il sensore di CO2, il cilindro orizzontale nero che esce dalla cella e gli spettrografi. Nel pannello di destra, la cella di reazione è aperta con all’interno della capsula Petri gli organismi fotosintetici. La cella è dotata anche di un sistema per misurare la riflettanza degli organismi.

A questo punto la domanda viene spontanea: come si può sapere della loro esistenza? Sarà possibile osservare l’ossigeno rilasciato da questi organismi alieni attraverso le misure da remoto? La risposta a questa domanda non è semplice, perché dipende da molti altri fattori, non solo dall’efficienza nella produzione di ossigeno da parte dei cianobatteri, ma anche dall’efficienza delle possibili sorgenti di ossigeno che sono al lavoro su quel pianeta, principalmente il Fe2+ che opera nei processi di ossidazione. Inoltre, la possibilità di accumulare ossigeno in atmosfera in quantità tali da poter essere osservabile da lontano prevede anche che esso superi i processi che tendono a deteriorarlo ed a formare altri elementi. In questo caso intervengono le proprietà geologiche del pianeta, da cui dipende principalmente la dissipazione della preziosa molecola.

Anche se sicuramente questa ricerca è un piccolissimo passo verso la ricerca della vita nell’Universo, è comunque un punto di partenza per completare almeno uno dei tanti tasselli mancanti nel grande quadro delle domande cosmiche. Solo le osservazioni future potranno darci la chiave di lettura di questo mistero ma finora, dobbiamo attendere i dati delle missioni spaziali e dei telescopi come Jwst e Origin Space telescope (Ost), i soli che potranno iniziare a dare indizi sulla presenza della vita al di fuori del Sistema solare.

Per approfondire:

R. Claudi, E. Alei, M. Battistuzzi, L. Cocola, M. S. Erculiani, A. C. Pozzer, B. Salasnich, D. Simionato, V. Squicciarini, L. Poletto, N. La Rocca, “Super-Earths, Mdwarfs and photosynthetic organisms: habitability in the lab”, Life,2021, 11, 10

Sergio Erculiani

Iscriviti alla newsletter

Email: accetto non accetto