Marte: il futuro per tutti

TOMMASO GHIDINI, DELL’AGENZIA SPAZIALE EUROPEA, SPIEGA COME E PERCHÉ L’ESPLORAZIONE DEL PIANETA ROSSO SARÀ UTILE A OGNUNO DI NOI, QUI, SULLA TERRA.

“Lo spazio è una risorsa per tutti.

Negli anni Sessanta serviva un uomo del carisma e della potenza politica di John Fitzgerald Kennedy per dire: ‘Portiamo l’uomo sulla Luna’. Lo faceva in nome di una sola nazione. Oggi un privato cittadino può promettere che porterà l’uomo su Marte. Che lo faccia non lo so, ma può dirlo ed essere credibile. Come lui tanti mettono in gioco il patrimonio, le aziende, le loro stesse esistenze per dimostrare che qualsiasi cosa facciamo oltre l’atmosfera ha una ricaduta nella nostra vita quotidiana. È una consapevolezza che ha sempre animato il mio lavoro e quello dell’Agenzia spaziale europea”.

La prima cosa a colpire di Tommaso Ghidini è l’entusiasmo, quello di chi, dello spazio, vive la dimensione di frontiera, la promessa di farci varcare le colonne d’Ercole della modernità. È un entusiasmo più giustificato che mai, perché segue di poche settimane il primo lancio privato di due uomini verso la Stazione spaziale internazionale e soprattutto celebra l’epocale capitolo marziano che in queste settimane Stati Uniti, Cina ed Emirati Arabi vanno scrivendo.

Che cosa sono, infatti, Mars 2020, Tianwen-1 e Hope se non la concretizzazione della progressiva spinta al miglioramento che l’esplorazione del cosmo, e nella fattispecie Marte, promettono?

Sebbene, dopo il rinvio di ExoMars fra due anni, all’appello di chi arriverà sul Pianeta Rosso nei primi mesi del 2021 manchi proprio l’Esa, non è dunque un paradosso discutere degli orizzonti marziani con chi, all’agenzia, è a capo della divisione Strutture, Meccanismi e Materiali. Con chi, per dirla altrimenti, della promessa di varcare le colonne d’Ercole, ha fatto una ragione di vita, prima ancora che il proprio mestiere.

Con laboratori e centri di calcolo di fama e livello mondiale, la divisione guidata da Ghidini garantisce l’integrità strutturale dell’intera gamma di programmi e missioni dell’Esa, identifica e sviluppa le tecnologie per i progetti futuri. Costruisce, letteralmente, la strada che percorreremo.

Il rover Rosalind Franklin della missione ExoMars, rinviata al 2022 (immagine: Esa)

Ghidini, a proposito di futuro imminente, dal punto di vista tecnologico e scientifico quali sono le sfide e gli insegnamenti dell’esplorazione di Marte?

Il Pianeta Rosso è una meta prioritaria sia dell’esplorazione robotica che umana. Studiarlo è fondamentale anche per comprendere meglio la Terra nell’ambito della planetologia comparata. Raggiungerlo, però, implica operazioni difficili dal punto di vista della astrodinamica; in più, rispetto alla Luna, Marte non permette di riportare a Terra gli astronauti in modo rapido nell’eventualità di un’emergenza.

Per quanto riguarda le missioni robotiche, l’Esa ha già risolto diversi problemi nonché raggiunto un primato storico: con la missione Mars Express, lanciata nel giugno del 2003, e con un radar sviluppato in Italia, Marsis, abbiamo infatti trovato acqua liquida contenente sali minerali, cioè elementi nutritivi. È una scoperta epocale, perché consente di ipotizzare ci sia vita marziana in questo momento, non solo in ere precedenti.

Proprio la ricerca della vita sarà l’obbiettivo di ExoMars, che arriverà con un robot e trivellerà il suolo marziano fino ad almeno due metri di profondità, altra sfida tecnologica significativa. E resa ancora più difficile dal rischio della cosiddetta forward contamination, l’eventualità che le nostre attrezzature trasportino frammenti di materiali, micro residui organici o anche gas capaci di contaminare le superfici che analizzeremo, compromettendo i risultati della ricerca. La gestione di questo aspetto amplifica le difficoltà di ExoMars, poiché ci costringe a usare apparecchiature, materiali ed elementi di eccezionale sensibilità e, insieme, asettici. Le complessità estreme di queste missioni, però, vanno di pari passo con il valore delle informazioni che forniscono, soprattutto nell’area di indagine più importante: la storia di Marte. Capire perché quella che era in origine una Terra si sia trasformata nell’attuale deserto giacchiato potrebbe aiutarci a evitare che il nostro Pianeta subisca lo stesso processo di invecchiamento precoce.

Restando alle spedizioni robotiche dirette su Marte, la tecnologia più importante che stiamo sviluppando, in collaborazione con la Nasa, è un unicum nella storia: è Mars Sample Return, una missione per cui tutti i 22 Paesi membri dell’Esa, all’ultima Ministeriale dell’agenzia, hanno già approvato un contributo di 600 milioni per il biennio 2020/2022.

La missione non solo raggiungerà la superficie marziana, ma come mai fatto prima tornerà indietro (approfondiamo l’argomento a pag. XXX ): il rover della Nasa, Perseverance, a bordo della missione Mars 2020, raccoglierà in maniera casuale campioni sul suo cammino e li depositerà dietro di sé. Un robot dell’Esa seguirà il percorso del suo predecessore e metterà i campioni in un contenitore grosso come una palla da football. Quindi, sfruttando una nuova tecnologia di lancio, spedirà il contenitore in orbita, dove un satellite Esa lo afferrerà e con propulsione elettrica lo riporterà sulla Terra. La missione è cruciale anche dal punto di vista tecnologico, perché se vogliamo davvero portare un uomo su Marte, è necessario garantirne il ritorno in sicurezza.

Mars Sample Return è il primo passo in quella direzione?

Dal punto di vista tecnologico sì, ma ne rimangono tanti altri, perché una missione umana su Marte presenta una moltitudine di sfide: anzitutto la protezione dalle radiazioni, poi il tipo di propulsione da sfruttare per affrontare il viaggio: prima arriviamo, meno esponiamo gli astronauti ai rischi. Il terzo problema riguarda la potenza elettrica durante il tragitto e quella sfruttabile a destinazione. L’altro aspetto su cui stiamo lavorando e che considero cruciale è quello psicologico: nessuno ha mai affrontato una spedizione di questo tipo, che implica anche la perdita del contatto con la natura. La specie umana ne ha bisogno, è una fonte di benessere che cerchiamo d’istinto, per questo anche in casa ci circondiamo di piante. Il viaggio verso Marte sarà affrontato in un ambiente robotico e piuttosto presto farà perdere il contatto visivo con il nostro Pianeta. In più gli astronauti viaggeranno in un ambiente confinato e a condizione di luce perpetua, molto disturbante da un punto di vista mentale. In questo caso, la realtà virtuale e il gaming potrebbero contribuire al supporto psicologico dell’equipaggio simulando un ambiente naturale e offrendo un po’ di intrattenimento durante la permanenza a bordo, che sarà lunga.

Una renderizzazione dell’elemento orbitante di Mars Sample Return (immagine: Esa)

In ambito tecnico quali saranno le questioni da affrontare?

Prima di tutto il fatto che la missione non si potrà interrompere: qualsiasi cosa accada, gli astronauti dovranno fare il “giro completo”, il che impone si disponga di opzioni, chiamiamole, di “riparazione” per l’equipaggio. Per questo motivo abbiamo sviluppato processi di stampa biotecnologica sfruttando cellule staminali, epidermiche, ossa. È una ricerca prioritaria, perché sebbene i futuri pellegrini marziani verranno selezionati anche in base alla forma fisica e al fatto che geneticamente dovranno avere poche probabilità di sviluppare malattie neoplastiche o problemi cardiaci, in un viaggio del genere è impossibile sottrarsi al rischio di un incendio, e quindi a un’ustione, oppure a una frattura. Quest’ultima in particolare è un’eventualità amplificata dal processo osteoporotico innescato dalla microgravità. Pelle e ossa devono potere essere ricostruite a bordo e questo ci riporta al tema di quanto possiamo imparare da una missione su Marte.

Intende le ricadute delle ricerche spaziali sulla Terra?

Esatto. Si immagini di avere una stampante biologica sulla Terra: potrebbe permettere trapianti senza bisogno di un donatore, senza la necessità di quelle liste d’attesa tragicamente legate agli incidenti. Inoltre avremmo organi umani sostitutivi immuni al rigetto, perché costruiti con le stesse cellule del ricevente. Per non dire della possibilità di testare i medicinali su quegli organi, evitando da una parte di far soffrire pazienti o animali e dall’altra perfezionando la medicina personalizzata, un orizzonte anelato da tante case farmaceutiche.

Non è un caso l’Esa voglia portare una stampante biologica sulla Stazione spaziale internazionale: l’idea è di lanciare in missioni di lunga durata i tessuti ricostruiti in orbita partendo dai nostri astronauti, per capire come si comportino nello spazio profondo e per sviluppare medicinali specifici per quella persona in quello scenario operativo. Ribadisco che non sono le missioni spaziali le uniche a richiedere queste tecnologie, anzi: avendone però bisogno in un ambiente ristretto e quindi con pesi e volumi limitati, lo spazio forza la tecnologia a diventare più efficace e ne accelera la maturazione. Le stampanti biologiche diventeranno più piccole, leggere, portatili, meglio distribuibili sulla Terra e quindi accessibili a un numero crescente di persone.

Viene in mente Cimon, il robot a bordo della Iss…

Che tornando a Marte o alle missioni di lunga durata sarà un altro elemento importante. Come sa bene Luca Parmitano, che l’ha testato in orbita, Cimon non soltanto sfrutta un software per il riconoscimento facciale, ma distingue gli stati d’animo. Questo utilizzo dell’intelligenza artificiale sarà cruciale nelle missioni più lunghe, perché il robot potrà comprendere le dinamiche dell’equipaggio, alleviare il carico di lavoro, intrattenere i viaggatori. Si pensi, ancora, al supporto psicologico offerto sulle navi in mare aperto, magari per mesi, da uno strumento non umano, certo, ma nemmeno muto; oppure in una condizione di isolamento forzato, come quella che ci ha appena visti coinvolti tutti.

Luca Parmitano al momento del ritorno sulla Terra dopo la missione Beyond (foto: Esa)

E per quanto riguarda il torpore sintetico, è una prospettiva che state studiando o rimane fantascienza?

È uno studio plausibile e una realtà scientifica, già utilizzata per mantenere il corpo a una temperatura non dannosa durante alcuni interventi cardio chirurgici, per esempio. Il torpore indotto è una prospettiva di grande interesse in ambito spaziale, perché invece di accelerare le navi, si potrebbe ritardare l’invecchiamento degli astronauti, preservandoli dalle radiazioni cosmiche, dall’indebolimento muscolare e osseo, e dall’eventualità di liti a bordo, vista l’alta quantità di stress in viaggi così lunghi. Ci sono esperimenti in corso, come quelli di Matteo Cerri, membro del Topical Team for Torpor and Hibernation dell’Esa, che sta dimostrando come attivando i neuroni del Raphe Pallidus si possa indurre il letargo. Un astronauta in ibernazione, oltretutto, non consuma e produce meno scorie.

È una prospettiva plausibile per i primi pellegrinaggi verso Marte?

Da un punto di vista ingegneristico, ritengo più ragionevole migliorare i propulsori e accelerare il viaggio, nonché sviluppare protezioni più efficaci per gli astronauti, una soluzione, quest’ultima, su cui stiamo già facendo ricerca: abbiamo tute ad acqua, per esempio, che ha testato anche Paolo Nespoli sulla Iss.

Grazie alle sue molecole di idrogeno, l’acqua è una difesa molto efficace dalle radiazioni, motivo per cui stiamo studiando abiti per gli astronauti con sacche che proteggano gli organi deputati alla produzione sanguigna, quelli più sensibili al danno radioattivo. Lo stesso vale per i veicoli: si potrebbero progettare in modo che l’acqua e l’idrazina già a bordo vengano sfruttate come schermo, oppure si potrebbero impiegare materiali con alti contenuti di idrogeno, come il polietilene, una scelta che la mia divisione sta valutando.

La celebre sequenza iniziale del film Alien, diretto da Ridley Scott

Quando è possibile supporre che l’uomo toccherà la superficie marziana?

Nell’ambiente si usa dire che la donna e l’uomo che andranno su Marte oggi sono una bambina e un bambino tra i cinque e i sei anni: è plausibile che il primo a calcare la superficie marziana lo farà entro la fine degli anni 30. Dipende da molti fattori: la politica, le scelte delle superpotenze. Missioni come quella della base in orbita lunare (il Gateway, ne avevamo scritto su Cosmo numero 8, ndr) sono propedeutiche a strutture simili vicino a Marte e non possono essere il progetto di un solo governo: è la missione della specie umana. Quindi dovranno coinvolgere non soltanto gli attuali partner del programma Iss – Stati Uniti, Europa, Russia, Giappone e Canada – ma anche nazioni come l’India e la Cina, e privati come SpaceX di Elon Musk, Blue Origin di Jeff Bezos, Virgin Galactic di Richard Branson.

Ancora una volta lo spazio conferma che per realizzare missioni di questa portata, gli uomini dovranno agire in pace. E tutti insieme. Andare sulla Luna per permanenze prolungate e raggiungere Marte facendoci diventare una specie interplanetaria e multiplanetaria richiedono uno sforzo globale.

Si può già ipotizzare come sarà la prima missione marziana?

Sì può anticipare con misurata ragionevolezza: con i tempi di viaggio attuali parliamo di una missione di un paio d’anni. Il test fatto a Mosca fra il 2007 e il 2010, non a caso battezzato Mars 500, suggerisce che per andare e tornare dal Pianeta Rosso servano 500 giorni. È implicito gli astronauti rimangano su Marte non per qualche giorno, ma per mesi, anche per capitalizzare dal punto di vista scientifico i benefici di un viaggio così sfidante.

Con questi presupposti sarebbe legittimo domandarsi perché portare un uomo su Marte, vista la disponibilità di missioni robotiche all’avanguardia. Le risposte sono molte: anzitutto siamo esploratori di natura, è il nostro destino e lo abbiamo scritto nel Dna.

Soprattutto, però, l’uomo ha una capacità scientifica che nessun robot potrà mai possedere: coglie l’opportunità, l’inatteso. Un automa, pur ben progettato che sia, esegue un protocollo. Non potrà mai scoprire la penicillina nella muffa. Questo è il grande vantaggio di una missione umana. Implica un messaggio e una responsabilità per tutta l’umanità: noi possiamo farlo. Abbiamo la possibilità, oggi, di crearci nuovi orizzonti, nuove opportunità, nuovi mondi da esplorare. Possiamo portare la nostra vita, la nostra cultura, i nostri ideali dove questa vita non c’è. Gli alieni stiamo diventando noi.

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