Dal 17 al 19 luglio 2024, un centinaio di scienziati si sono riuniti per tre giorni ad Oxford a Breakthrough Discuss 2024, per discutere sul futuro che verrà nell’esplorazione spaziale e dell’astrofisica. Anche lo scrivente è stato invitato in tale gotha dove i grandi nomi c’erano tutti. Come Bernie Fanaroff, fino al 2015 direttore dello Square Kilometer Array South Africa e del radiotelescopio MeerKAT. Il suo nome come radioastronomo è legato alla importantissima classificazione Fanaroff-Riley delle radiogalassie e dei quasar. Poi Jocelyn Bell, sua è la scoperta delle radio pulsar, uno dei risultati più alti della fisica del XX secolo. Sara Seager, una pioniera nel vasto e sconosciuto mondo degli esopianeti. La sua ricerca innovativa spazia dal rilevamento delle atmosfere degli esopianeti alle teorie innovative sulla vita su altri mondi fino allo sviluppo di nuovi concetti di missione spaziale. Edward Balaban di Nasa Ames e il telescopio liquido. Consistente anche la presenza dei popolo del Seti capitanato da Andrew Simion, deus ex machina del Breakthrough Listen Project, il più importante progetto mondiale di ricerca di civiltà extraterrestri.
Tema del meeting: Un arazzo cosmico da esplorare, ovvero come intrecciare l’intelligenza artificiale, l’astrobiologia e le missioni spaziali, tre filoni scientifici che stanno trasformando la nostra visione dell’Universo e il nostro posto in esso. Ognuna di queste scienze sta subendo una profonda trasformazione alimentata da recenti scoperte, ingegneria innovativa e idee rivoluzionarie. Insieme, stanno espandendo il modo in cui pensiamo alla vita nel cosmo e al potenziale di esplorazione dello stesso da parte dell’umanità. I temi affrontati:
La scienza verrà trasformata dall’intelligenza artificiale attraverso una rivoluzione che costruirà nuove dimensioni nell’astronomia, compresi approcci innovativi alla ricerca di prove della vita oltre la Terra – sia biofirme che tecnofirme.
Cambierà il tessuto della vita dentro e fuori dalla Terra. Le prove provengono da habitat estremi sulla Terra (e in laboratorio), studi del lontano passato (comprese le origini della vita), l’ampia gamma di ambienti offerti dal Sistema solare e un insieme sempre più diversificato di esopianeti, arricchendo la nostra comprensione dell’arazzo. della vita e la sua potenziale estensione nel cosmo.
Le nuove frontiere nell’esplorazione spaziale. Le capacità di lancio emergenti abbinate a nuove tecnologie robotiche promettono una nuova era nelle missioni spaziali. Che si tratti di telerilevamento o in situ, dal lato nascosto della Luna o in viaggio verso i confini del Sistema solare e oltre, queste capacità rappresentano una nuova tela per l’esplorazione scientifica.
Ecco qualche chicca emersa dalle discussioni emerse al meeting. Un mondo dinamico che si modifica al realizzarsi di nuove condizioni legate alla conoscenza di nuove forme nel cosmo. Nuovi algoritmi in grado di poter, domani, insegnare a sé stessi come cogliere micro-variazioni che potrebbero generare macro-mutazioni cosmiche. La definizione di uno standard di “normalità” coerente con la dinamicità cosmica. Le lune gioviane come culla di vita aliena. 28.489 oggetti oggi in orbita attorno alla Terra e come le attività spaziali modificano le condizioni dello spazio che ci circonda. Un telescopio spaziale “liquido” di 50 metri di diametro.
Le abbondanze chimiche nel cosmo e la chimica nel nostro pianeta. Argomenti per tutti i gusti nel tentativo di dipingere, attraverso il dato scientifico, uno scenario astrofisico del futuro che verrà. Scienza solida dunque basata non su ipotesi ma sostenuta da dati ed esperimenti, anche se in molti casi manca ancora la risposta finale, il futuro appunto.
Qualche progetto è veramente “visionario” come Flute il telescopio liquido della Nasa illustrato da Edward Balaban di NASA Ames che ha riscaldato gli animi e le domande della platea. Il futuro dell’astronomia UV/ottica/IR basata sullo spazio richiede telescopi sempre più grandi. Gli obiettivi astrofisici di massima priorità, inclusi esopianeti simili alla Terra, stelle di prima generazione e galassie primordiali, sono tutti molto deboli, il che rappresenta una sfida per i telescopi attuali e di prossima generazione. I grandi telescopi sono uno dei modi principali se non il principale per affrontare questa ricerca. Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui finalmente esistono le tecnologie per iniziare a rispondere alle domande principali.
L’ultimo nato, il James Webb Space Telescope può eseguire misurazioni spettroscopiche delle atmosfere degli esopianeti in transito, forse anche rilevando gas biomarcatori. Roman, la prossima missione di punta dell’astrofisica della Nasa, effettuerà la spettroscopia con imaging diretto degli esopianeti. Tuttavia, il numero di pianeti extrasolari su cui la vita potrebbe essere rilevata da Roman è fortemente limitato dalla sua apertura, che dovrebbe essere di circa 6 m. Dato che i costi delle missioni dei telescopi spaziali dipendono fortemente dal diametro dell’apertura, adattare le attuali tecnologie a dei telescopi spaziali di dimensioni di apertura superiori a 10 m non sembra economicamente fattibile. Tale problema mette già oggi a dura prova il budget della Nasa e si prevede che la data di lancio di Roman sarà successiva a quanto la maggior parte degli astronomi vorrebbe ovvero prima metà degli anni 40.
Senza una svolta nelle tecnologie di costruzione per i grandi telescopi, i futuri progressi nel campo dell’astrofisica potrebbero rallentare o addirittura bloccarsi completamente. Pertanto, vi è la necessità di nuove soluzioni economicamente vantaggiose per portare i telescopi spaziali a dimensioni maggiori. Ecco quindi prendere forma un concetto avanzato di missione per un osservatorio spaziale con uno specchio primario non segmentato con una apertura di 50 metri adatto per una varietà di applicazioni astronomiche. La strabiliante novità sta nel fatto che lo specchio verrebbe creato direttamente nello spazio attraverso un nuovo approccio basato sulla modellazione fluidica in microgravità.
La possibile realizzazione è già stata dimostrata con successo in un ambiente di galleggiamento neutro in laboratorio, in voli parabolici di microgravità e a bordo della Stazione spaziale internazionale . Teoricamente questa tecnica è in grado di produrre componenti ottici con una qualità superficiale finora mai raggiunta, sub-nanometrica (RMS). Fanta-ingegneria? No, solamente il futuro che verrà.
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Interessantissimo!