Il ruolo della metallicità stellare sull’abitabilità

by Giuseppe Donatiello

Da qualche tempo il concetto di “abitabilità” è in fase di perfezionamento. Inizialmente era considerato potenzialmente abitabile un pianeta in quella zona orbitale delimitata dove condizioni atmosferiche adatte, permettono l’esistenza di acqua liquida superficiale. Poi la potenziale ospitalità per la vita è stata estesa ai mondi acquatici con fonti interne di calore, anche lontane dalle zone abitabili. Più di recente, altre modellazioni suggeriscono di considerare anche la disponibilità di energia e nutrienti. Queste abitabilità hanno tuttavia in comune l’assunto che, a fare la differenza, sia la presenza di una fonte di calore per sostenere i processi biologici in habitat confortevoli.

Poco è stato ancora indagato il ruolo delle protezioni naturali e il rapporto di queste con la “metallicità” delle loro stelle ospiti. La metallicità, vale a dire l’abbondanza di elementi pesanti in atmosfera, è un indicatore dell’età di una stella. Gli astronomi hanno sempre ritenuto che la disponibilità di elementi pesanti e molecole complesse fosse condizione necessaria per la chimica biologica, almeno per come la conosciamo. Ma è davvero così?

Metallicità e ozono

Adesso uno studio svolto da un gruppo guidato da Anna V. Shapiro del Max Planck Institute for Solar System Research di Göttingen, indaga tale relazione mostrando come la metallicità stellare sia collegata alla capacità per i pianeti di sviluppare uno strato protettivo di ozono. Fondamentale per questo è l’intensità e lunghezza d’onda della luce ultravioletta (UV) emessa nello spazio. Lo studio mostra che per pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle simili al Sole, minore è il contenuto di metalli, minore è l’esposizione agli effetti dannosi delle radiazioni ultraviolette.

Le stelle a maggiore metallicità emettono meno radiazioni UV, nelle atmosfere planetarie ossigenate attorno a stelle simili al Sole si forma meno ozono (MPS/hormesdesign.de)

Paradossalmente, mentre le stelle a maggiore metallicità, più giovani nella storia dell’Universo, emettono meno radiazioni UV, nelle atmosfere planetarie ossigenate attorno a stelle simili al Sole si forma meno ozono (O3). Meno ozono significa migliore penetrazione di radiazione UV, rendendo quei pianeti meno favorevoli a una biosfera superficiale.  Questa regola non è rispettata da stelle ricche di metalli con temperatura di 5300K e pianeti con atmosfere a basso contenuto di ossigeno molecolare. La bassa emissione UV delle stelle ad alta metallicità può anche essere un ostacolo per il fiorire della prima vita su pianeti con atmosfere anossiche. Questi risultati sono stati esposti su Nature Communications.

Le protezioni naturali

L’ozono atmosferico e l’ossigeno (O2) sono protezioni naturali per la biosfera terrestre dalle dannose radiazioni ultraviolette (UV). È presumibile che essi svolgano la stessa importante funzione per la vita su pianeti simili alla Terra intorno a stelle di tipo solare. Lo studio ha modellato le atmosfere di pianeti intorno a stelle con differente metallicità, rilevando l’esposizione ai raggi UV e la variazione dello spessore di ozono. Uno spesso strato di ozono è ritenuto un prerequisito importante per l’emergere della vita complessa superficiale.

Un fattore chiave per lo sviluppo della vita terrestre è stato la stabilità della schermatura UV atmosferica in risposta ai maggiori disturbi occorsi in passato. Il gruppo ha così indagato gli effetti atmosferici di eventi potenzialmente catastrofici, come intensa attività solare, supernove vicine e potenti eruzioni vulcaniche. Tali eventi catastrofici non sono mai sterilizzanti e non rappresentano una minaccia esistenziale alla vita su scala planetaria. Le grandi catastrofi sulla Terra hanno occasionalmente causato diffusi fenomeni di estinzione in massa ma mai obliterato la vita, anche durante le crisi peggiori.  

La variazione di ossigeno e ozono terrestre in rapporto all’intensità di radiazione UV-B e UV-C negli ultimi 600 milioni di anni. Si noti l’abbondanza di ossigeno nel periodo Carbonifero, corrispondente a un calo di UV-C, e la sostanziale stabilità dello strato di ozono speculare all’intensità di UV-B. [Tratto da AV Shapiro et al. Nat Commun 14 , 1893 (2023)]

Gli effetti sull’abitabilità

Per stelle simili al Sole, la metallicità sembra avere un impatto maggiore sull’abitabilità rispetto alla temperatura stellare. Le stelle di nuova formazione, con maggiore abbondanza di elementi pesanti, esporrebbero i loro pianeti a minore radiazione UV rispetto alle stelle delle generazioni precedenti. In altri termini, l’Universo diventerebbe progressivamente meno favorevole alla vita all’avanzare delle nuove generazioni stellari perché gli strati di ozono sono più sottili e meno efficaci.

Le simulazioni mostrano come la radiazione UV sostenga lo sviluppo di forme vegetali, ritenute essenziali per l’evoluzione verso forme di vita più complessa. Altrettanto è importante l’effetto fotodissociativo su molecole di gas potenzialmente tossico se presenti in grande quantità e l’effetto serra planetario. La capacità di ossidazione atmosferica (pulizia) è stabile e di supporto alla vita, quasi indipendente dalla metallicità stellare, con un tenore di ossigeno superiore all’1%.

Conta anche il tipo di raggi UV

Nella chimica atmosferica della Terra, la radiazione ultravioletta del sole gioca un duplice ruolo. In reazioni con singoli atomi di ossigeno e molecole di ossigeno, l’ozono può essere sia creato sia distrutto. Mentre le radiazioni UV-B a onde lunghe distruggono l’ozono, le radiazioni UV-C a onde corte ne formano di nuovo nell’atmosfera media.

In generale, le stelle povere di metalli emettono più radiazioni UV rispetto a quelle ricche, ma il rapporto tra la radiazione UV-C che genera ozono e la radiazione UV-B che lo distrugge, dipende in modo critico dalla metallicità. Nelle stelle povere di metalli predomina la radiazione UV-C, che genera un denso strato protettivo. Per le stelle ricche di metalli, con la loro radiazione UV-B predominante, l’involucro è più sottile.

L’emissione di alcune molecole nella regione infrarossa dello spettro. L’ozono è un importante biomarcatore con segnale moderato. [NASA, ESA, CSA, STScI, Joseph Olmsted (STScI)]

Implicazioni SETI

Nella ricerca di biomarcatori e firme tecnologiche, gli esopianeti nelle zone abitabili di stelle di tipo solare a bassa metallicità sono da considerare più promettenti. L’aspetto sorprendente è che per i tipi stellari considerati, la metallicità stellare ha un impatto maggiore rispetto alla temperatura stellare.

Questi pianeti saranno bersagli alla portata degli strumenti di prossima generazione, grazie a spettrometri ad altissima risoluzione in grado di misurare velocità radiali di 10 cm/s, sufficienti per scoprire pianeti rocciosi di massa terrestre nelle zone abitabili di stelle di tipo solare. Rilevare tale tipo di pianeti è anche l’obiettivo principale del telescopio spaziale PLAnetary Transits and Oscillations (PLATO). Per trovare biomarcatori, la ricerca e l’osservazione di esopianeti in zona abitabile dovrebbero avere la priorità e la capacità di scoprire almeno gli indizi non è più una possibilità futuristica.

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