Trent’anni fa, nell’ottobre 1995, veniva annunciata a un convegno a Firenze la scoperta di quello che è tuttora considerato il primo pianeta extrasolare: un corpo gassoso, grande circa la metà di Giove (per questo verrà infatti chiamato Dimidium) attorno a 51 Pegasi, una stellina di taglia solare nella costellazione di Pegaso. L’annuncio venne dato da due astronomi svizzeri, Michel Major e Didier Queloz che per questa scoperta vennero insigniti del premio Nobel per la Fisica nel 2019.
Da allora le scoperte di esopianeti si sono succedute a ritmo impressionante e con differenti tecniche e oggi siamo arrivati a conoscere circa 6000 pianeti in orbita attorno ad altre stelle, come riportato nella cover story di questo numero. Ricordo l’emozione nel leggere quell’annuncio, che era atteso da tempo e che altre avvisaglie avevano in qualche modo anticipato (la scoperta di pianeti attorno a una pulsar nella costellazione della Vergine, l’annuncio poi smentito ma riconfermato anni dopo della presenza di un pianeta attorno a Gamma Cephei…). Insomma, i tempi erano maturi per quella scoperta.
Come forse lo sono oggi per un altro annuncio epocale, ancora più significativo: la possibile scoperta di altre forme di vita nel Sistema solare. Siamo tutti balzati sulla sedia il 10 settembre scorso, quando una teleconferenza della Nasa ha annunciato il possibile rinvenimento di biofirme in una roccia marziana da parte del rover Perseverance su Marte. Cioè, sostanze prodotte da antiche forme di vita sul Pianeta rosso (vedi la news pubblicata sul sito cosmo2050.com).
Poi si è capito che la notizia non era quella che davvero aspettavamo e che forse la Nasa aveva un po’ gonfiato la questione per attirare l’attenzione sulle necessità di finanziamento di missioni come Mars Sample Return che prevede di portare sulla Terra campioni marziani all’inizio del prossimo decennio e che Perseverance ha già iniziato a selezionare e mettere da parte. Riproponendo l’enfasi che a metà degli anni 90 accompagnò la notizia della possibile presenza di microbatteri fossili in una meteorite di origine marziana, poi mai del tutto né confermata né smentita. Anche allora in un’epoca di difficoltà finanziaria dell’ente spaziale americano. Come dire che il progresso scientifico avanza ma la storia può anche ripetersi.
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