Un filo di perle attorno alla SN 1987A

Creato dalle stesse instabilità che si formano nei getti degli aerei

La Nebulosa Tarantola ripresa con una composizione di filtri a banda stretta, centrati sulle emissioni degli atomi di idrogeno ionizzato e dell’ossigeno (Ignacio Diaz Bobillo)

La Nebulosa Tarantola, nella Grande Nube di Magellano, ha un diametro di oltre mille anni luce e al suo interno si formano stelle, èuna vera e propria fucina di Efesto cosmica. A più di 160mila anni luce di distanza il gas freddo si condensa dando origine ad astri meravigliosi, con processi violenti e poderosi.

All’interno della “tarantola cosmica”, (NGC 2070), le radiazioni intense, i venti stellari e i fronti di shock delle supernove che risiedono all’interno del giovane ammasso centrale energizzano il bagliore nebulare e hanno scolpito le forme di un aracnide. Se la Tarantola fosse vicina come la Nebulosa di Orione (a 1500 anni luce di distanza) occuperebbe metà del cielo e vedremmo la volta celeste coperta dipinta come un quadro impressionista!

All’interno di questa meraviglia c’è il resto della supernova SN 1987A, posta a destra del centro. È tra le esplosioni stellari più famose, perché è relativamente vicina alla Terra, e la sua luce ha raggiunto la Terra quando esistevano finalmente sofisticati strumenti per testimoniare la sua evoluzione. È stata la prima supernova visibile a occhio nudo dai tempi della supernova di Keplero, nel 1604, il che la rende un evento astrofisico incredibilmente raro.

SN 1987A. Crediti: NASA, ESA, CSA, M. Matsuura (Cardiff University), R. Arendt (NASA’s Goddard Spaceflight Center & University of Maryland, Baltimore County), C. Fransson (Stockholm University), and J. Larsson (KTH Royal Institute of Technology). Image Processing: A. Pagan

Un misterioso filo di perle

Osservazioni recenti dei resti della SN 1987A hanno permesso di stabilire l’esistenza di una stella di neutroni centrale, residuo del nucleo della stella esplosa (vedi il numero 49 di Cosmo 2050, aprile 2024).

Ma in un recente studio si è cercato di spiegare anche l’origine del filo di perle che adorna l’oggetto. Nelle scie a getto degli aerei, si crea la cosiddetta instabilità di Crow, che crea interruzioni nella linea dritta delle nuvole, a causa del flusso d’aria a spirale che esce dall’estremità di ciascuna ala dell’aereo. Tale fenomeno è più comunemente noto come “vortice dell’estremità dell’ala”.

Interagendo fra loro e confluendo l’uno nell’altro, questi vortici creano degli spazi vuoti, Questa teoria è in grado di dirci quanti spazi vuoti si possono formare partendo da condizioni fisiche note. In precedenza, il fenomeno veniva spiegato con l’instabilità di Rayleigh-Taylor, che tuttavia indicava soltanto che potrebbero esserci degli addensamenti ma non era in grado di definirne il numero.

Nella supernova 1987A, si ritiene che l’anello di gas attorno alla stella, prima dell’esplosione, fosse ciò che restava della fusione di due stelle. Poi, una volta evolutasi, una delle due stelle ha rilasciato idrogeno nello spazio circostante, quando è divenuta una gigante blu, alcune decine di migliaia di anni prima della fine.

Quella nube di gas a forma di anello è stata colpita dal flusso di particelle cariche ad alta velocità provenienti dalla gigante blu, un potente “vento stellare”, che ha formato il delicato filo di perle che noi vediamo oggi, prima che la stella esplodesse.

Durante il processo, il vento ha spinto la nuvola verso l’esterno, con un gradiente di velocità che mostra come la parte superiore e inferiore della nuvola vengano spinte fuori più velocemente rispetto al centro. Così, la nuvola si è accartocciata su se stessa, innescando l’instabilità di Crow e provocando la formazione di grumi uniformi. Secondo le stime, partendo dai dati iniziali, la previsione ne dovrebbe far generare 32, stima molto vicina ai 30-40 osservati attorno al resto della supernova 1987A.

Secondo l’instabilità di Crow potrebbero esserci più anelli di perline attorno alla stella, più lontani dall’anello maggiormente visibile, cosa confermata dalle immagini nel vicino infrarosso del James Webb Space Telescope, rilasciate nell’agosto dello scorso anno.

Iscriviti alla newsletter

Email: accetto non accetto