La sua missione, ridiede vita al Programma Apollo. E grazie a quella missione dell’ottobre del 1968, fu possibile sbarcare sulla Luna nove mesi più tardi.
Apollo 7 aveva a bordo tre astronauti: il comandante, veterano Walter Schirra, e due piloti: Don Eisele e Walter Cunningham, che gli amici chiamavano “Walt”.
Walt è deceduto il 4 gennaio a Houston all’età di 90 anni. Ne avrebbe compiuti 91 il prossimo 16 marzo. Sposato e papà di due figli, Kimberly e Brian, è deceduto, dice una nota di Jeff Carr, della Nasa, per cause naturali, dovute all’età avanzata. Anche se noi lo ricordiamo, ancora fino a pochi mesi fa, sempre come un uomo da fisico granitico. Quattro anni fa aveva subito una brutta caduta in un parcheggio, poco dopo essere uscito dalla sua auto, procurandosi un po’ di fratture qua e là. E si era ripreso in tempi brevi.
Dell’Apollo 7 Walt era l’unico rimasto in vita: Schirra era deceduto nel 2008, a 85 anni, mentre Eisele fu stroncato da un infarto a soli 57 anni nel 1987 mentre era in Hotel, a Tokio, prima di un evento dedicato all’esplorazione spaziale.
Un astronauta che amava il volo, lo spazio, l’Italia e… il gelato
“La missione Apollo 7 era conosciuta come la “missione di Schirra” – ci disse Cunningham durante uno dei nostri incontri – “Ed era anche giusto: quei primi eroi della navicella Mercury negli anni Sessanta erano ancora molto, molto amati dal popolo americano. Però c’eravamo pure io e Donn …”.
I tre astronauti dell’Apollo 7 vinsero un Emmy award speciale per i loro servizi televisivi quotidiani dall’orbita, durante i quali facevano i pagliacci, tenevano cartelli umoristici e istruivano i terrestri sul volo spaziale.
Di tanto in tanto si recava in Italia con la moglie Dotty e ci raccontava un’infinità di aneddoti sulla missione Apollo 7, su Apollo, su quegli astronauti e gli incredibili anni di conquista spaziale. “Dell’Italia mi piace tutto: il clima, la gente ma. ..” – ci ricordava – “a Torino, oltre agli straordinari musei e le aziende al top, è straordinario il gialato” – diceva modificando con cadenza americana la parola “gelato”.
Pilota civile, e astronauta dal 1963. E il dramma di Apollo 1
Walter Cunningham, come tutti gli astronauti Nasa di quel periodo, era un asso del volo ed era selezionato dopo prove durissime. Lasciato il corpo dei Marines, da civile pilota entrerà nell’ottobre 1963 a far parte del terzo gruppo di astronauti Nasa. Erano in 14, e figuravano uomini che avrebbero fatto quasi tutti la storia del programma spaziale: tra loro, Buzz Aldrin, Michael Collins, Eugene Cernan e Dick Gordon.
Cunningham iniziò subito l’addestramento per il Programma Apollo, e assieme a Walter Schirra fu nominato inizialmente alla prima missione del programma, l’Apollo 1, che per prima avrebbe dovuto collaudare l’Apollo in orbita terrestre. L’equipaggio di Cunningham era quello di riserva, assegnato quindi a una successiva Apollo 2, forse per collaudare per primi il Lem, il “ragno” dei futuri sbarchi lunari.
Ma Donn Eisele, per un infortunio fu tolto dall’equipaggio primario, sostituito da Ed White, e inserito con Schirra e Cunningham a quello di riserva. Sarà la salvezza di Eisele, dato che Chaffee andrà a comporre l’equipaggio dell’Apollo 1 assieme ai veterani Grissom e White, che moriranno nell’incendio divampato nella capsula Apollo il 27 gennaio 1967 durante il test completo di conteggio alla rovescia alla rampa 34 di Cape Kennedy.
“Come astronauta dell’equipaggio di riserva, era tra coloro che erano stati nella capsula poco prima per controlli e verifiche” – ci raccontò Cunningham – “eravamo sotto shock, sapevamo che c’era ancora molto, molto da lavorare, ma non ci aspettavamo quel disastro”- ci disse Cunningham in riferimento a quella prima tragedia spaziale americana, causata da un corto circuito nell’Apollo, divampato in tempi brevissimi a causa dell’atmosfera interna di puro ossigeno.
La missione Apollo 7
Toccherà quindi a Walt, con Schirra e Eisele, portare nello spazio l’Apollo per la prima volta dopo il disastro, con la missione n. 7, saltando dalla 2 alla 6 alcuni lanci di test senza equipaggio. I dubbi che assalivano l’opinione pubblica, ma soprattutto il Congresso degli Stati Uniti, erano molti. L’atmosfera interna della capsula era cambiata (con azoto e ossigeno) e il portello progettato per essere aperto in 8 secondi (contro i 90 della versione precedente), e dispositivi di autospegnimento di eventuali incendi. La capsula subì una profonda revisione e persino i documenti di volo furono prodotti su carta ignifuga.
Il giorno del lancio fu l’11 ottobre 1968, con un razzo Saturno 1B, alto quasi 70 metri con l’Apollo in cima. Quando l’equipaggio sperimentò la prima accensione del motore principale del modulo di servizio (SPS) dell’Apollo, la spinta generata li schiacciò nei loro sedili, e Schirra si lascio scappare un “Yabbadabbadoo”, mentre Eisele lo definì “un bel calcio nel culo molto più forte di guanto ci aspettassimo.” Otto accensioni dell’SPS furono eseguite in maniera quasi perfetta, dimostrando oltre ogni dubbio l’affidabilità del motore; e così doveva essere, perché esso avrebbe avuto il compito di inserire l’Apollo in orbita lunare e, successivamente, di riportare a casa gli astronauti.
L’obiettivo principale era di effettuare un rendez-vous con il secondo stadio del razzo Saturn 1B, che nelle missioni successive sarebbe diventato il terzo stadio del più grande Saturn 5. Era in pratica la manovra simulata di attracco tra Apollo e modulo lunare, ce veniva appunto estratto dal terzo stadio, all’inizio del viaggio Terra-Luna. Fu tutto perfetto. A parte una fastidiosa sindrome influenzale che colpì soprattutto Schirra, fu portata a termine anche la prima trasmissione in diretta TV dallo spazio. Telecamera in bianco e nero, ma grande spettacolo della Terra vista dallo spazio e grande show dei tre astronauti, al punto che la Nasa definirà la missione Apollo 7 il “Wally, Walt and Donn Show”.
In Italia le immagini in bianco e nero arrivarono con i commenti di Piero Angela (da Houston) e Tito Stagno (da Roma). Dopo 163 orbite, 10 giorni e 20 ore di volo, i tre uomini di Apollo 7 erano pronti per tornare a casa. L’ammaraggio avvenne il 22 ottobre, 370 km a sud di Bermuda. Raffreddori a parte, fu definita da tutti “Una missione riuscita al 101 per 100”. Ora l’Apollo poteva essere pronto per la Luna.
Skylab e la nuova vita post Nasa
Subito dopo Apollo 7, i capi del programma e il Direttore degli equipaggi, Deke Slayton, iniziarono a “costruire” gli equipaggi delle future imprese Apollo di sbarco lunare. Alcuni in realtà già erano in addestramento come equipaggi di riserva, e sarebbero diventati titolari proprio con le missioni da Apollo 11 in poi.
Walt non era in lista per un volo lunare, e gli fu quindi affidato l’incarico di astronauta-direttore del Programma Skylab, cioè la prima stazione spaziale americana, per permanenze di lunga durata in orbita. Cunningham era quindi candidato a comandare la prima missione Skylab, oppure la seconda. Il programma prevedeva da tre a cinque missioni (poi se ne fecero solo tre, a causa dei tagli al bilancio), e dal 1970 fece irruzione nel programma Pete Conrad, assieme a buona parte dello staff della missione lunare Apollo 12 (Conrad, Al Bean, Joe Kerwin, Jerry Carr), decisamente tra gli astronauti Nasa più celebri e “considerati” nel team di 52 astronauti a Houston. Le ambizioni di tutti erano altissime e si sgomitava forte , come disse una volta Walt: Conrad prenderà così il comando della prima missione, Bean della seconda e Carr della terza. E poi il programma terminerà, e resterà solo un volo Apollo, quello dell’aggancio con la sovietica Sojuz, ma dove anche qui i tre posti erano già occupati da tempo.
Cunningham, diede le dimissioni nel 1971, per iniziare una nuova carriera, da imprenditore, in campo ingegneristico. E spesso impegnato in radio, soprattutto, ma anche in Tv come commentatore di missioni spaziali, anche durante tutta la lunga era dei voli Shuttle. Ed è autore dello splendido libro, in parte autobiografico, I ragazzi della Luna, tradotto in Italia da Mursia, uscito in prima edizione nel 1977 e aggiornato poi nel 2008.