Anche i crateri hanno i loro segreti

by Marco Sergio Erculiani

Quando un corpo celeste impatta sul suolo di un pianeta, si genera un cratere, una depressione provocata dalle onde d’urto generate dall’interazione fra il meteorite e la superficie del corpo celeste.

I crateri si formano in tre fasi. La prima è la fase di contatto e compressione, la seconda la fase di “scavo” del cratere e la terza la fase di modificazione del cratere. Durante la fase di contatto e compressione c’è una propagazione delle onde da impatto attraverso le rocce. Se si guarda bene, il punto di impatto è circondato da una serie di zone concentriche legate alle differenti pressioni a cui sono state sottoposte. Nella fase di scavo del cratere, che sura alcuni minuti, comincia il vero e proprio processo di interazione fra le onde d’urto e la superficie di impatto che dà origine a un flusso di scavo simmetrico attorno al punto di contatto. In pratica, una depressione a forma di scodella che non sarà il cratere definitivo ma una tappa intermedia. Infatti prende il nome di cratere di transizione. Questo cratere ha una parte più superficiale, chiamata ejection zone, composta da rocce espulse dal cratere, che formano i depositi chiamati ejecta e una zona, posta all’interno del cratere di transizione, chiamata displaced zone, al cui interno si trovano rocce fratturate.

Infine, la terza fase è la modificazione del cratere e comincia quando il cratere di transizione raggiunge la sua massima estensione. A questo punto entrano in gioco le forze di equilibrio, come la gravità. Da questo punto in avanti il cratere si modellerà nella sua forma definitiva, subendo gradualmente i processi geologici a cui sarà soggetto. Quanto un cratere transitorio viene modificato dai processi di modifica dipende dalle dimensioni che raggiunge e dalle rocce che lo compongono. Ci sono infatti diversi tipi di crateri, la cui grandezza dipende, come è intuitivo, dalla massa del meteorite impattante, dalla sua velocità e dal materiale da cui è composto il terreno. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, materiali relativamente “morbidi” portano a crateri più piccoli. A parità di materiale, il volume scavato da un meteorite è proporzionale alla sua energia cinetica.

I crateri da impatto possono essere semplici o complessi. I primi sono strutture piccole che tendono a mantenere la forma a scodella del cratere di transizione e nella fase di modificazione vengono riempiti fino a metà dal deposito di materiale e detriti espulsi dal cratere e chiamati fallback e da altro materiale crollato dalle pareti. Ne è un esempio il cratere di Barringer, in Arizona, USA. I crateri complessi sono invece strutture molto più grandi e sono caratterizzati dal sollevamento della zona centrale, un fondo piuttosto pianeggiante e un estensivo collasso lungo il bordo. L’altura centrale è l’effetto di quello che viene chiamato “rimbalzo elastico” cui è soggetti il terreno in risposta all’impatto. Un po’ come la goccia che si stacca dall’acqua in verticale quando gettate una biglia in uno stagno.

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