La NASA ha davvero trovato segni di vita su Marte?
Lo scorso anno il rover Perseverance della NASA ha trovato tracce in un’antica roccia che potrebbero indicare l’esistenza di vita sul Pianeta Rosso miliardi di anni fa. E ora, con una conferenza stampa appena rilasciata dalla Nasa, abbiamo ulteriori prove sotto forma di piccoli noduli di minerali insoliti in diverse rocce ricche di argilla che potrebbero avere un’origine biologica.
Per quanto entusiasmanti siano queste scoperte, dobbiamo procedere con cautela: gli astrobiologi hanno una scala in sette fasi chiamata Confidence of Life Detection (“Fiducia nella rilevazione della vita”) che assegna un valore numerico alla qualità delle prove. Anche considerando la scoperta e l’annuncio recente, rimaniamo sul primo gradino della scala.
Cosa ha effettivamente scoperto la NASA?
L’anno scorso, Perseverance stava esplorando il letto di un lago chiamato Bright Angel nel cratere Jezero su Marte quando si è imbattuto in una roccia con segni insoliti chiamati confidenzialmente “macchie di leopardo” e “semi di papavero”. Sulla Terra, questi segni sono da considerarsi rivelatori di un’antica attività microbica. Le “macchie di leopardo” sono macchie scure di dimensioni millimetriche con un bordo circolare, mentre i “semi di papavero” sono macchie scure ancora più piccole.
Entrambe queste tipologie si trovano all’interno di una roccia, che è stata chiamata Cheyava Falls dal nome di una cascata nel Grand Canyon. Ed entrambe le “biofirme” sono racchiuse tra strati bianchi di solfato di calcio, un minerale che si forma tipicamente in presenza di acqua, un altro prerequisito per la vita.
Ma il 10 settembre 2025 la NASA ha annunciato ulteriori scoperte intriganti: campioni di roccia ricchi di argilla rinvenuti in due siti, uno chiamato Sapphire Canyon, sempre nella formazione di Bright Angel, e un altro chiamato Masonic Temple, che presentano minuscole macchie di colore verde di minerali di fosfato di ferro e solfuro di ferro ridotti chimicamente.

Cosa li rende correlati alla vita?
Sulla Terra, sappiamo che sia le cosiddette “macchie di leopardo” sia i “semi di papavero” possono essere collegati alla vita microbica: le reazioni di riduzione e ossidazione che generano energia per tali forme di vita lasciano depositi colorati di ferro e zolfo in “forma riducente”, il che significa che hanno acquisito elettroni.
Volendo prendere in considerazione tutte le ipotesi possibili, i segni nelle cascate di Cheyava potrebbero essere stati causati da microbi (quindi da forme di vita microscopica) ma anche da un’altra reazione che avviene solo ad alte temperature e che non è collegata alla presenza di vita. Ma gli strumenti di bordo di Perseverance che sono stati utilizzati all’inizio di quest’anno per determinare la composizione chimica dei segni, dimostrando appunto che contengono minerali in forma riducente, non hanno trovato traccia di riscaldamenti elevati. Ciò suggerisce che la spiegazione biologica è parecchio più probabile.
Le macchie verdi di materiale chimicamente riducente potrebbero, proprio come il campione precedente, indicare la presenza di vita. E, cosa ancora più entusiasmante, la loro distribuzione è irregolare e direttamente correlata alla concentrazione di composti organici, il che rafforza l’idea che siano state create da organismi viventi.
Joel Hurowitz della Stony Brook University di New York e i suoi colleghi scrivono in un articolo sulla nuova analisi, pubblicato sulla rivista Nature, che “la formazione Bright Angel contiene caratteristiche chimiche e minerali e tracce organiche che giustificano la loro definizione di ‘potenziali’ biofirme”. Ma, cosa fondamentale, non hanno comunque ancora dimostrato che su Marte fossero presenti organismi viventi nel suo lontano passato. Anche se è sempre più probabile. La formazione “Bright Angel” presenta una serie di affioramenti rocciosi sui bordi settentrionali e meridionali della Neretva Vallis, un’antica valle fluviale larga 400 metri che è stata scavata dall’acqua che si riversava nel cratere Jezero molto tempo fa.

Come potremmo confermare i risultati?
Gli scienziati hanno praticamente esaurito tutte le opzioni per analizzare Cheyava Falls e i nuovi campioni sulla superficie di Marte. Quello che andrebbe fatto ora è riportarli sulla Terra per esaminarli più da vicino.
Il rover Perseverance è progettato per conservare campioni interessanti e consegnarli a una futura missione (la Mars Sample Return) che li riporterà fisicamente sulla Terra, ma questi progetti hanno subito una serie di battute d’arresto nell’ultimo anno. La proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di tagliare il budget della NASA potrebbe anche comportare l’abbandono della missione Mars Sample Return e la drammatica conseguenza che tutti i campioni raccolti finora rimarranno sulla superficie del Pianeta rosso, senza possibilità di ulteriori analisi.
Sanjeev Gupta, membro del team dell’Imperial College di Londra, afferma che la nuova scoperta rafforzerà le ragioni a favore del finanziamento di una missione di ritorno dei campioni, cosa a cui la NASA è molto interessata. “È la prima volta che vediamo qualcosa che ci fa dire: ‘Oh, questo potrebbe essere stato formato da processi biologici’ – ed è per questo che c’è tanto entusiasmo. Questo è un campione che dobbiamo riportare indietro”, ha affermato. “In definitiva, il ritorno dei campioni da Marte per lo studio sulla Terra, compreso il campione Sapphire Canyon raccolto all’interno della regione Bright Angel, fornirebbe l’occasione migliore per comprendere i processi che hanno dato origine a queste caratteristiche uniche”, scrive il team.
C’è altro che possiamo fare adesso su Marte?
Quando la vita è comparsa sulla Terra, si è diffusa rapidamente. Quindi una cosa che possiamo fare anche senza una missione di ritorno dei campioni è cercare campioni analoghi. Possiamo trovare altre rocce con le stesse caratteristiche? “Ora ci troviamo fuori dal cratere Jezero e stiamo osservando rocce molto antiche per vedere se abbiamo prove di processi o caratteristiche simili. C’è sempre la possibilità di tornare nello stesso sito e vedere se riusciamo a trovare altri esempi”, afferma Gupta. “Ma in realtà la prova definitiva si potrà avere soltanto riportando il campione sulla Terra per analizzarlo nei laboratori terrestri”.
Considerazioni finali
Questa notizia è importante? Sì lo è. Trovare forti indizi della presenza di biofirme su un altro pianeta è entusiasmante e ci fa fare un piccolo passo in avanti per rispondere alla domanda se siamo soli nell’Universo e se la vita – magari almeno in forma elementare – si sia sviluppata altrove. Ma da cronisti delle cose delle scienza – che rimangono cose umane – non possiamo non sottolineare lo stato di estrema difficoltà in cui si trovano attualmente i progetti della Nasa, sia quelli in corsa sia quelli futuri, a causa di un cambiamento di prospettiva dell’amministrazione Trump. Quando, nel luglio 2022, sono state presentate al mondo le prime immagini del James Webb Space Telescope, il collegamento fu addirittura organizzato dalla Casa Bianca alla presenza dell’allora Presidente Biden. Non si può non notare una differente considerazione da parte della politica a questo annuncio, diffuso tutto sommato in sordina solo il giorno precedente la rilevazione della notizia. L’enfasi (eccessiva?) sulla necessità di riportare a terra i campioni di rocce marziane e di proseguire nel supportare la Mars Sample Return Mission non possono certo passare inosservati ai nostri occhi. Insomma, anche se a pensare male si fa peccato, il sospetto che la Nasa provi a enfatizzare una notizia (che rimane comunque importante) per i suoi scopi potrebbe essere fondato. E non sarebbe nemmeno la prima volta. Già negli anni Novanta, ai tempi dei controversi possibili microfossili rinvenuti (?) all’interno della meteorite marziana ALH84001, ci si divise fra entusiasti e scettici. E anche allora venne il sospetto che la Nasa volesse sfruttare a suo favore la notizia per fronteggiare un altro cambiamento di filosofia (e di riduzione dei finanziamenti): l’avvento del “faster, better and cheaper approach”, lo slogan coniato dall’allora amministratore delegato Daniel Goldin. Come dire che mentre il progresso scientifico sicuramente avanza, la storia può anche ripetersi.