Urano fu visitato dalla sonda Voyager 2 nel gennaio 1986. Durante il tragitto che da Saturno portava al gigante ghiacciato, la sonda era stata adeguatamente programmata per ottenere immagini più nitide e dati migliori. Quello con Urano fu un sorvolo spettacolare e la sonda raccolse alcune delle immagini più dettagliate sino allora e una messe di altri dati. La salute della sonda era tale da giungere in ottima forma presso Nettuno nell’agosto 1989. I dati raccolti durante quegli storici sorvoli, rimasti unici per i due pianeti più esterni, hanno ancora molte cose da rivelarci e la loro analisi continua tuttora.
Sorprese dall’analisi postuma dei dati
Che quello di Urano fosse un sistema più interessante di quanto creduto è apparso chiaro quando, nel 2022, l’astrofilo Ian Regan, processando le immagini d’archivio Nasa, ha notato la presenza di un anello esterno sconosciuto che era sfuggito ai planetologi. Ci sono però cose interessanti anche negli altri dati raccolti dalla sonda e nuove informazioni sul pianeta sono emerse dall’analisi postuma.
L’ultima scoperta è di un gruppo di ricerca che ha riesaminato i dati sulle radiazioni e il magnetismo nel sistema di Urano, trovando delle anomalie riconducibili a due delle sue 27 lune, nello specifico Ariel e Miranda. Questi due satelliti sono, infatti, i nuovi candidati ad avere degli oceani interni sotto le loro spesse croste ghiacciate. Queste conclusioni sono state presentate il 16 marzo 2023 nel corso della Lunar and Planetary Science Conference e in pubblicazione su Geophysical Research Letters.
Le due lune stanno espellendo particelle di plasma nello spazio e lo dimostra il rilevamento di particelle energetiche. Gli indizi sono emersi nei dati raccolti dal magnetometro imbarcato sulla sonda mentre si allontanava dal pianeta.
Pennacchi di vapore?
Non è noto il meccanismo di rilascio delle particelle, ma la spiegazione, quasi logica, e che entrambe celino un oceano liquido interno e che una fonte di calore permetta la produzione di pennacchi simili a quelli osservati su altre lune, come Europa nel sistema di Giove ed Encelado in quello di Saturno, ma anche su alcune lune di Nettuno.
“Non è raro che le misurazioni di particelle energetiche siano un precursore della scoperta di un mondo oceanico“, ha dichiarato l’autore principale dello studio Ian Cohen dello Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL). “Da alcuni anni sosteniamo che le misurazioni delle particelle energetiche e del campo elettromagnetico sono importanti non solo per comprendere l’ambiente spaziale, ma anche per contribuire alla più ampia indagine scientifica planetaria”. È curioso che Cohen sia più giovane dell’età dei dati analizzati raccolti dallo strumento LECP (Low-Energy Charged Particle) costruito da APL. “Ciò che è stato interessante è che queste particelle erano così estremamente confinate vicino all’equatore magnetico di Urano“, ha proseguito Cohen.
A forma di toroide
Le particelle scoperte formano una struttura toroide molto vicina al pianeta, esattamente tra Ariel e Miranda. Le due lune pertanto confinano le particelle nella struttura che, in caso contrario, tenderebbe a diffondersi nel sistema.
I ricercatori escludono che le misure siano in qualche modo inquinate dalla stessa sonda. In tal caso i dati sarebbero stati percettibilmente differenti. Il gruppo ha quindi iniziato a esplorare semplici modelli fisici per ricreare i dati raccolti dalla Voyager 2. Le simulazioni indicano che quanto osservato sia consistente con una forte fonte di particelle con uno specifico meccanismo di produzione. Dopo aver escluso altre eventuali spiegazioni, i ricercatori hanno stabilito che l’origine sia in una delle due lune o entrambe.
Il team considera che le particelle siano state espulse da pennacchi di vapore, simili a quelli visti su Encelado. Un altro possibile meccanismo di espulsione è lo “sputtering“, in cui particelle ad alta energia, collidendo con una superficie esposta, innescano l’espulsione di altre nello spazio. Le due possibilità sono al momento paritetiche. È probabile che il meccanismo energizzante sia un costante flusso di particelle dalla superficie allo spazio. Le particelle sarebbero accelerate abbastanza da essere rivelate dallo strumento LCEP nonché confinate, proprio come misurato da Voyager 2.
In attesa di rilievi in loco
Servono chiaramente altri dati ma la prospettiva è davvero interessante poiché rafforza l’ipotesi che le lune oceaniche siano numerose nel nostro Sistema Solare. Questi mondi acquatici sono potenzialmente ambienti propizi alla comparsa di vita autoctona anche in posti lontani dalla Zona Abitabile sia del Sole sia di altre stelle.
Nel frattempo, nonostante i 45 anni di volo nello spazio, la gloriosa Voyager 2 è in buona salute e trasmette costantemente il suo segnale di navigazione sino a quando avrà abbastanza energia elettrica da farlo. Mentre scriviamo, il segnale impiega 18h 27m e una manciata di secondi per raggiungere la Terra.